Parte 44

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Il mio risveglio fu come quello di uno che la notte prima aveva fatto baldoria. Avevo un mal di testa tremendo, in più ci misi qualche minuto ad avere una vista nitida.

Girai la testa a 360 gradi per vedere l'ambiente intorno a me.

Mi trovavo in una stanza non molto grande, circa due metri di larghezza e tre di lunghezza. Non aveva finestre, ma solo una porta di vetro con su scritto il numero 23. Provai ad aprirla, ma ovviamente era chiusa. Non ci misi molto a capire che ero in una cella. A riprova di ciò dal vetro della porta, potevo

vedere cosa c'era dall' altra parte. Si vedeva chiaramente un'altra cella, la

numero 22.

Al suo interno un ragazzo, che sdraiato su un letto, guardava il soffitto.

Il suo volto non mi sembrava nuovo, ma non ricordavo dove l'avessi visto. Ruotai ancora una volta la testa e ammirai la mia nuova "casa".

Avevo anche io un letto, un comodino e una specie di brocca, che non era difficile intuire a che cosa servisse.

Quando guardi un film alla TV e mostrano qualcuno che viene sbattuto in cella, questi la prima reazione che ha è quella di iniziare a urlare e camminare su e giù per la stanza.

Per me non fu così, appena mi accorsi di dove mi trovassi, mi sedetti sul letto e aspettai.

Non penso che, se avessi gridato sarebbe cambiato qualcosa.

Per passare il tempo iniziai a ricordare che cosa mi fosse capitato, da quando mi ero svegliato nella pianura.

Ad un tratto.

- Prigioniero, mettiti nell' angolo opposto alla porta. – Un guardiano aspettava dall' altra parte del vetro. Feci come mi ordinò.

Aprii la porta e poggiò un vassoio con del cibo.

- Questo è il pranzo, se non dai problemi, non ne avrai neanche te. –

Si voltò e chiuse la porta.

Lentamente e con molta cautela mi diressi al vassoio.

Conteneva un toast e un pezzo di crostata, accompagnate da una piccola

bottiglia d' acqua.

Quando finì il pranzo posi il vassoio vicino alla porta e tornai a sedermi sul

letto. Volevo non causare problemi, perché ero molto spaventato. Infatti, penso che ci siano due modi per ottenere rispetto e approvazione: il bastone e la carota.

Se da un lato, quando uno sbaglia arriva il bastone, dall' altra, quando uno fa

una cosa giusta dovrebbe arrivare la carota.

Questo era il mio pensiero, oltre la paura, speravo che sarei stato premiato.

L' illusione è dolce per sua natura e immaginare che sarai premiato, è meglio di supporre che, se sbagli sei fuori.

Mentre nella mia testa facevo tutti questi discorsi, si spalancò la porta.

- Ciao. – disse un uomo con un camice bianco. Si portò una sedia e si posizionò vicino a me.

- Mi chiamo Albert. Ti andrebbe di fare quattro chiacchiere? –

Scossi la testa, non avevo alcuna voglia di parlare.

- Per favore, in fondo non hai molto di meglio da fare. –

Quella frase, mi piacque.

- D' accordo dimmi che cosa volete da me? –

- Questo è ancora presto per dirtelo, ma non ti preoccupare, il peggio è passato. –

- Allora di che cosa vuoi parlare? –

- Voglio parlare della tua salute. –

- Io sto benissimo. –

- Lo vedo, ma ne devo essere sicuro. Pertanto, nei prossimi giorni ti faremo parecchi esami, ti pregherei di essere collaborativo. –

Questa volta, annui.

- Molto bene, allora oggi parleremo della tua permanenza al Gabbio. –

Anche questa volta, annui.

- Devi sapere che sono uno psicologo e voglio capire se ti ha lasciato qualche segno. Inoltre, sappi che noi teniamo tutto sottocchio e sappiamo tutto quello che ti è successo. –

- Allora che cosa ti devo raccontare, se già sai tutto? –

- Giusto, ti faccio un esempio, così capirai. Prendi un oggetto qualsiasi, mettilo in punto qualsiasi.

Ora guardandolo da varie angolazioni, noterai diverse sfaccettature dello stesso oggetto. Questo è quello che voglio vedere da te. Voglio la tua sfaccettatura del Gabbio. Mi sono spiegato? –

- Perfettamente. –

Gli raccontai per filo e per segno, tutto quello che avevo vissuto. I miei pochi momenti sereni e molti momenti tristi.

L' impressione di essere sempre un passo indietro. Appena pensavo di aver capito come funzionasse il Gabbio, questo faceva qualcosa che mi lasciava indietro.

Parlandone ad alta voce, mi accorsi che mi mancava.

Quando ero lì, speravo ogni giorno di scappare da quel posto. Ma adesso ne sentivo la lontananza. In più vivevo in una stanza molto stretta, senza fare niente tutto il giorno e con il tempo che non passava mai.

Detta l'ultima parola.

- Ho finito, questo è quanto. –

- Ti ringrazio, ora me ne posso anche andare. –

Si alzò e si diresse alla porta.

- Più tardi verranno a portarti la cena. La sedia te la lascio, può servirti. –

Chiuse la porta, ero tornato solo con i miei pensieri.


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