Parte 73

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Passò qualche giorno dalla mia cattura e, chiuso in quel luogo, pensai anche al suicidio.

Onestamente non penso che sarei arrivato fino in fondo.

Ho sempre pensato che per compiere un gesto simile, serva un attimo di pazzia, un istante in cui la testa non ragioni.

Perché, in un altro momento, si trova sicuramente qualcosa per cui vale la pena vivere.

Può essere la fede, un luogo da visitare, o più facilmente, le persone che amiamo.

La porta della mia cella era completamente oscurata, questo per non farmi vedere oltre.

Tutto ad un tratto, si spalancò ed entrarono delle guardie di scorta.

- Stanno per entrare il generale Cornelio Augusto e il suo braccio destro Ottaviano, non fare sciocchezze! - esortò una delle guardie.

Eccoci, stavo per incontrare quello che per la povera gente, era il tiranno. I due leader entrarono con schiena dritta e petto in fuori.

Il generale era un uomo di mezza età con capelli corti e barba curata. Di statura nella media, sembrava un uomo qualsiasi. Non pareva capace di governare una dittatura, se non fosse per un particolare: i suoi occhi. Scuri e severi che non lasciavano intravedere alcun sentimento, se non la sua fermezza.

Ottaviano, dal canto suo, riprendeva lo stile del generale, capelli corti e barba curata.

Fu lui, il primo ad avvicinarsi e, con molta delicatezza, mi fece alzare. Viso a viso con il generale, non abbassai lo sguardo.

- So che ora, ti fai chiamare Prometeo. -

- Sì, non ti piace? - risposi con sarcasmo.

Nell' istante in cui finì la frase, un pugno, mi arrivò nello stomaco.

- Devi rivolgerti con rispetto verso il generale. -

- Calma Ottaviano, guardie portate il prigioniero nel mio ufficio! -

Dalla cella venni gentilmente scortato in uno delle ali della prigione riservata ai soldati.

Un intero piano era riservato per le visite del generale, qui, nella stanza più

grande e lussuosa, aveva sede l'ufficio del tiranno.

Abbandonato su un divano e, liberato dalle manette, venni lasciato solo in quella grande stanza.

Con le ossa, ancora doloranti, mi guardai attorno.

Molte statue e bellissimi squadri arredavano l'ufficio.

Dalla parte opposta della stanza, vi era una antica scrivania con alle sue spalle una biblioteca.

Sembrava tutto, tranne che un ufficio di una prigione.

Inoltre, c'era una grossa vetrata che mostrava una parte della città. Dopo poco entrò il generale Cornelio Augusto da solo.

- Vedo, che ti hanno già fatto accomodare. -

- Sì, sono stati molto delicati. -

- Noto, con piacere, che l'umorismo non ti manca. -

Si aprì, di nuovo, la porta. Un giovane soldato portò una tazza di tè e qualche biscotto.

- Mangia pure, a stomaco pieno, si ragiona meglio. - Non me lo feci ripetere due volte.

- Cosa vuoi da me? Perché non mi uccidi subito e facciamo la finita? - ancora con la bocca piena.

- Non voglio ucciderti, mi serve il tuo aiuto. -

- Perché dovrei aiutarti? -

- Per il semplice motivo che non vuoi avere morti sulla coscienza. Giusto? -

- Spiegati meglio. -

- Presto fatto: Sebastian, Demo e tutti gli abitanti delle tribù, li ho fatti tornare al Gabbio. Nel mondo digitale sono al sicuro, ma se non mi aiuti, ho paura che dovrò prendere provvedimenti. -

Una minaccia bella e buona, ma da un dittatore che cosa ci si poteva aspettare? Se queste erano le condizioni come potevo oppormi?

- Hai vinto, dimmi cosa vuoi che faccia? -

- Bene, hai fatto la scelta giusta.

Non preoccuparti, non è niente di complicato. Aspettami un secondo! - Mi lasciò, un'altra volta, da solo per qualche minuto.

Tornò con un piccolissimo dischetto metallico che inserì in una piccola fessura della scrivania.

Nel centro della stanza, comparve l'ologramma del contenuto di quel piccolo oggetto.

- Riesci a leggere il contenuto? -

Era impossibile non riuscirci, molto grande e definito.

- Qui, sono racchiusi tutti i dati, in nostro possesso, di un gruppo di ribelli.

Ci hanno creato, non poco problemi.

La maggior parte di loro vive nelle colonie lontane, dove trovano l'aiuto della

popolazione.

Ad oggi, non sono ancora in grado di rappresentare una minaccia per il regno, ma più passa il tempo, più si organizzano e più diventano pericolosi. - Bella storia, ma cosa c'entravo io? Non conoscevo quei ribelli. Gli amici di Albert risiedevano nella capitale e, onestamente, non credo che potessero rappresentare un tale problema da scomodare il generale in persona.

- In tutto questo, di preciso, cosa vuoi da me? -

- Ho motivo di pensare che il tuo amico Amil, sia uno di loro o, almeno, in contatto con essi. -

- Ma l'ho conosciuto solo da qualche giorno, perché dovrebbe esporsi con

me? -

- Pensi davvero che vi siate incontrati per caso al mercato?

Povero illuso, sapeva che raccontandoti dei prigionieri rinchiusi qui, avresti voluto aiutarli ed è quello che gli interessava.

Ti ha raggirato, come voleva. Adesso, tocca a te! -


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