Parte 60

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Come dei moderni cavalieri della tavola rotonda, eravamo tutti attenti alle parole che Albert avrebbe detto.

- Adesso, vi spiego perché vi ho, prima mandati in un'altra versione del Gabbio e, poi, fatto scappare.

Il generale Cornelio Augusto, colui che di fatto governa il nostro Regno, ha deciso di eliminare tutti i dissidenti politici.

Ha iniziato con gli abitanti del mondo digitale, li ha fatti tornare nelle realtà per rinchiuderli nella prigione statale.

Sta aspettando che arrivi una data particolare, a noi molto cara, per farli giustiziare in piazza. - prese un attimo fiato, poi continuò il discorso.

- Attende solo la cerimonia per l'anniversario per la fondazione del Regno. Purtroppo, manca solo una settimana esatta alla fatidica data. Abbiamo poco tempo per attuare il nostro piano. –

- Quale piano? – chiesi prontamente.

- Molta gente è ovviamente disgusta da questo governo, ma per paura non osa ribellarsi. Eppure, noi pensiamo che basterebbe una miccia per accendere il fuoco della libertà. Perché, se le colonie sapessero che qui è in atto una ribellione, si unirebbero senza ombra di dubbio. A quel punto avremmo qualche chance di vittoria. –

- Solo qualche chance? – sottolinei io.

- Sì, perché l'esercito è numeroso e ben addestrato. Inoltre, può

contare sulle più moderne armi del mondo. -

- Magari c'è la possibilità che qualche soldato si unisca a noi? - chiesi speranzoso.

- Molto difficile perché i soldati sono ben retribuiti e godono di vari privilegi, non avrebbero motivo di ribellarsi. –

- E quindi qual' è la nostra strategia? Su quanti uomini possiamo contare? –

- Non tantissimi. Più tardi vi porto a conoscerli. –

- Bene. -

Dopo questo, tutti finirono la colazione in silenzio.

Non mi era sfuggito che per tutto il discorso, Alexis non aveva detto nulla, limitandosi ad ascoltare. Chissà quali pensieri e quali ricordi gli erano

tornati in mente.

Sazi per il cibo ingerito, ci accomodammo in salotto.

Beatrice ci salutò e si recò al giornale per la quale scriveva. Era importante non attirare l'attenzione, per cui nessun giorno di ferie o di malattia, niente che non facesse parte della routine quotidiana.

Trascorsero alcune ore, senza alcun avvenimento importante. Addirittura, per ingannare il tempo, facemmo una partita a carte.

Non mi era ben chiaro che cosa stessimo aspettando, ma vedevo Albert sicuro di sé; pertanto, non facevo ulteriori domande e mi fidavo di lui.

Per pranzo ci preparammo un panino con gli ingredienti che Beatrice si era preoccupata di farci trovare nel frigo.

Non mi sentivo diverso, da quando ero in cella. La situazione quasi metteva sullo stesso piano un accogliente appartamento ad una cella di una prigione. Il tempo trascorreva pigro; è incredibile quanto passi lentamente, quando non si fa niente.

A spaccare questa calotta temporale, ci fu il suono delle campane.

All' emissione di quelle note, Albert si alzò in piedi.

- Dobbiamo andare! - enunciò.

- E dove? - chiesi, giustamente.

- Come promesso vi porto a conoscere i nostri soldati! -

Era quello che volevamo tutti.

Facendo sempre attenzione a non dare nell'occhio, passo dopo passo, finimmo in un quartiere malfamato e pericoloso.

I muri erano pieni di insulti, molti rivolti verso il governo. In più incrociando i volti dei passanti, avevo l'impressione che se non ci fosse stato Albert, mi avrebbero rapinato e pestato.

- Certo, che hai scelto proprio un bel posto per incontrare i nostri "compagni"

- domandai ironicamente al mio Virgilio.

- Che ti aspettavi? Pensi che i ricchi vogliono rovesciare il governo? Chi vuole un cambiamento sono i poveri abitanti delle periferie. Come puoi aver notato, basta pochi passi a piedi e lo scenario cambia completamente. Dal centro curato e ben servito, si passa a dei veri e propri ghetti. -

Aveva ragione su tutta la linea, perché chi ha dei diritti e privilegi, avrebbe dovuto rinunciare, anche solo ad una parte di essi? Per giustizia sociale? Molto difficile!

- Siamo arrivati! - enunciò Albert, interrompendo la camminata.

Ci eravamo fermati davanti ad una vecchia fabbrica, ormai in disuso.

Il portone era chiuso con un lucchetto molto grosso, mi chiedevo come avremmo fatto ad entrare.

- Come entriamo? – sottolineando il lucchetto.

- Certo che in me, hai davvero poca fiducia – rispose con una smorfia sul viso. Fece pochi passi e si avvicinò ad un bidone dell'immondizia.

- Vedi questo? -

- Sì, allora? -

- Aiutatemi a spostarlo e vedrete. -

Appena tolto di mezzo quell'ammasso di lamiera, si mostrò a noi, una frattura nel muro, non molto grande, ma abbastanza per attraversarci per una persona nella media.

- 1 a 0 per te! - ironizzai io.

- Non perdiamo altro tempo ed entriamo! - ordinò Alexis che fino a quel momento sembrava perso su una nuvola, ma la vista della fessura, lo aveva riportato fra di noi.


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