Capitolo 20

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"La vita appartiene ai viventi, e chi vive deve essere preparato ai cambiamenti."

JOHANN WOLFGANG VON GOETHE



MICAH

- Ricordami perché ho ricevuto l'onore di vedere la mia ragazza? - fu quello che dissi mentre osservavo il viso sereno di Liv, appoggiato alla mia spalla.
Il plaid che avevo sottratto alla mamma ci copriva del tutto, proteggendoci dal freddo che precedeva le prime feste natalizie.
Avevo scoperto quel luogo durante uno dei miei vagabondaggi notturni. Era un Luna Park abbandonato, fuori città, in una zona boschiva.
Eravamo seduti sull'unica attrazione ancora in condizioni decenti, a mezzo metro di altezza. A volte, con il vento, la nostra panchina fortuita dondolava appena. Era stata una di quelle ruote panoramiche a due posti, per sedicenni romantici che avrebbero voluto scambiarsi il loro primo bacio proprio in cima. Dove tutta Woodland si estendeva alla loro vista, con le sue luci rassicuranti.
- Perché mio padre sta compilando i quadri a scuola. - rispose lei, dedicandomi una linguaccia. - E il tuo sarà disastroso ... lo sai. -
Sbuffai. - Che importa? Non avrò mai un voto decente con lui, ma ho molto di più. - le sussurrai all'orecchio, facendola ridere e diventare rossa allo stesso tempo.
I suoi occhi erano pensierosi però, non riuscivo a capire cosa la frenasse dal parlarmi dei suoi problemi che, mi sembrava, andavano ben oltre la nostra relazione e l'opinione di suo padre.
- Che ti prende, Liv? - le chiesi per l'ennesima volta quel giorno. Afferrai la sua mano calda, ben nascosta sotto il plaid e la strinsi forte con la mia.
I suoi occhi verdi mi fissavano, erano alla ricerca di qualcosa.
Scosse la testa, poi parlò lentamente. - I-io ... non so ... ma credo che adesso dovresti dirmi qualcosa riguardo quei fascicoli. -
Eccoci di nuovo. Mi venne da ridere. Credevo davvero che avrebbe dimenticato ciò che suo padre le aveva praticamente spiattellato in faccia?
- Lo so che il passato non conta adesso, ma questo pensiero, anzi il non saper proprio che cosa sia successo per spingerti a fare quel determinato gesto ... mi manda in confusione. -
Sospirai, più per rassegnazione che per altro.
Prima o poi sarebbe arrivato quel momento, lo sapevo bene, perché rimandarlo allora? C'erano già abbastanza ostacoli tra me e lei, tanto valeva essere sinceri, almeno su quel punto.
- Bene. Cos'hai visto in quel fascicolo? Parliamone ... - dissi, sconfitto.
Liv sembrò non crederci, sgranò gli occhi, ma l'occasione era così ghiotta per lei che si riprese subito dopo. - Ho letto tutto, Micah. I tuoi atti vandalici in primis, e poi ... - cercava le parole giuste per esporre l'accaduto senza che ne uscissi poi così male, ma quelle parole non esistevano.
Così continuai io. - Ho sfigurato un mio compagno di classe con l'acido durante chimica. E' questo che vuoi dire? - le chiesi, trattenendo a stento un sorriso di fronte a quella sua espressione sconvolta.
- Perché, Micah? T-tu l'hai fatto per un motivo ... deve essere così. -
- E dimmi, anche solo un motivo al mondo potrebbe giustificare quello che ho fatto? - le chiesi, candidamente.
Liv scosse la testa. Era turbata adesso. - No, non sto dicendo questo. Voglio soltanto capire ... non hai detto una parola in tua difesa, perché? -
- Perché non esiste una difesa, Liv. Ho fatto quello che ho fatto e credimi, quella volta, uscirne pulito non era nei miei interessi. Mia madre ha scongiurato Jack di fare qualcosa ... lui ha un sacco di conoscenze. -
- Non m'importa il dopo, Micah. Davvero ... voglio soltanto capire ... -
Calai la testa. Era bastato un attimo, un solo pensiero per ricordare il mio periodo New Yorkese e tutto ciò che aveva comportato per la mia crescita.
Ricordavo il suo viso alla perfezione, il suo sorriso tagliente, gli occhi neri e profondi, ma vivacissimi. C'era chi ci prendeva per fratelli, tanto finimmo per essere simili nei modi di fare.
- Si chiama Kim. Kim Villeneuve. Fu la prima persona che incontrai quando iniziai a frequentare la scuola ... lui si avvicinò a me, vidi il suo sguardo mentre incontrava il mio, ed emanava una sorta di riconoscimento ... come se fossimo stati legati da qualcosa. Non saprei come spiegartelo in modo più chiaro. -
Liv pendeva dalla mie parole, i suoi occhi erano fissi su di me. Perfino il vento sembrava essersi fermato, adesso.
- Era un periodo strano quello di New York, non saprei neppure come spiegartelo, Liv, eravamo fatti praticamente da mattina a sera. Lui dormiva da me, io dormivo da lui, vivevamo in simbiosi noi due. Eravamo dei ragazzini certo, ma non ci riconoscevamo con la gente che avevamo intorno, neanche di striscio. Era come se facevamo parte di un universo completamente diverso, noi due. La nostra amicizia crebbe, si consolidò con il passare dei mesi. Non c'era niente che io non avrei fatto per lui, lo stesso valeva per Kim. -
Per un attimo non riuscii più a trovare le parole. Era la prima volta che ne parlavo con qualcuno. E mi scoprii ancora profondamente toccato da quanto era successo in quegli anni. C'era una cosa di cui non avrei parlato mai a Liv, l'unica cosa che avrebbe potuto ferirla ancora di più di quello che stavo per dirle.
Era un segreto, tra tre persone. Adesso due, pensai.
- Se era tuo amico, Micah. Perché l'hai fatto? Perché? - Liv era spaesata.
Mi chiesi se il suo amore per me sarebbe svanito non appena avesse saputo come stavano le cose.
- Kim era distrutto in quel periodo. Era a pezzi, continuava ad implorarmi affinché lo punissi ... -
- Cosa? Perché? -
Trattenni un attimo il respiro. Le mezze verità erano bugie? Non sapevo stabilirlo.
- Perché si sentiva responsabile ... -
- Per cosa? - Liv era confusa.
- Non lo so esattamente. Ma voleva qualcuno che lo punisse per questo. Noi due frequentavamo dei posti da schifo in quel periodo. Tra questi c'era una sorta di club privato, dove la gente pagava per picchiarsi e farsi picchiare, probabilmente il proprietario aveva preso ispirazione da "Fight Club". Non saprei dirlo. Lui continuava a farsi massacrare in quel postaccio. Mi disse che in quel modo combatteva il senso di colpa che non voleva lasciarlo e inoltre faceva pressione su di me. Voleva che fossi io a farlo, Liv. Ero l'unico amico che gli fosse rimasto ... si aspettava che fossi io a punirlo. A concedergli una sorta di perdono che la vita gli negava. -
- Non capisco ... -
- Ah, non mi aspetto che tu capisca, Liv. Eravamo fatti e su di giri. Però sapevo che si sarebbe fatto ammazzare un giorno di quelli ... un pugno ben piazzato in testa e Kim sarebbe morto. -
- Quindi hai deciso di punirlo in quel modo. -
Annuii. Era la cosa più simile alla verità che avrei potuto dirle in quel momento.
- Eravamo a scuola, seduti insieme come sempre, c'erano delle provette di acido che avrebbe dovuto usare per non so quale stupido esperimento. Kim continuava a gongolare, mi sussurrava all'orecchio mille modi in cui avrebbe potuto uccidersi se non l'avessi punito. Ed io credevo alle sue parole. Chiunque l'avesse conosciuto anche solo la metà di quanto lo avessi fatto io, ci avrebbe creduto ad occhi chiusi.
Così afferrai la provetta e in un attimo la svuotai sul suo viso. -
Liv era rimasta immobile, agghiacciata. Sapevo che non avrebbe aggiunto altro per molto e molto tempo. Stava accanto a me, ma il suo corpo era rigido, freddo.
- Ti porto a casa. -

THOSE BAD ANGELSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora