Capitolo 16

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"Dove la forza non vale, giunga l'inganno."  PIETRO METASTASIO


MICAH

Erano quasi le diciotto del pomeriggio ormai quando decisi di non poterne più di quella situazione. Quel dannato silenzio prolungato da parte di Liv mi stava facendo letteralmente andare fuori di testa. Così mi ero appostato fuori casa sua, aspettando il momento giusto per potermi presentare a lei, osservavo la luce proveniente dalle finestre al primo piano. L'auto di Pierce era nel vialetto però e se mi fossi avvicinato troppo alla villa avrei potuto metterla nei guai seriamente.
Sospirai, esasperato. Poi successe qualcosa, il motore di una macchina in lontananza che mi fece appiattire ancora di più contro la siepe dietro la quale mi stavo riparando.
Vidi i fari dell'auto spegnersi, poi James smontò dall'auto e si diresse senza guardarsi indietro verso l'abitazione.
Irritazione ed una forte rabbia, ecco quello che stavo provando in quel momento. Non mi andava neanche lontanamente che quei due fossero insieme, ma per fortuna vennero fuori quasi immediatamente. Vidi Liv vestita di tutto punto, con tanto di borsetta. Quei due stavano uscendo.
- Senti, non posso stare fuori parecchio, lo sai. - sentii dire a lei, stava salendo in auto adesso. - Troviamo un posto tranquillo ... ho bisogno di parlarti. -
Un lungo attimo di silenzio, seguito dalla voce preoccupata di James. - Ti prego, vuoi dirmi cosa sta succedendo, Liv? Ho provato un milione di volte a riflettere sul tuo comportamento, trovare una conclusione, ma sono confuso ... -
- Sì, ti spiegherò, te l'ho detto. -
Quella fu l'ultima frase che sentii, perché un attimo dopo James mise in moto, portando via con sé Liv.
Rimasi un attimo immobile, un grosso sorriso stava facendo capolino dalle mie labbra senza che riuscissi a fermarlo. Dovevo parlarne con qualcuno assolutamente. Lei stava per piantarlo ... non poteva essere altrimenti!
Mi alzai da lì e composi il numero di Ezra, ormai l'avevo mandato a memoria.
Rispose dopo un paio di squilli. - Mia dolce Giulietta, ti manco di già? - incominciò lui, sentivo l'ilarità nella sua voce.
Mi diedi un tono. - Oh, Giulietta è a letto, a sognare di te, stai parlando con l'astuto Iago, mio caro Roderigo. -
Lo sentii ridere appena. - Presumo che il tuo tramare ai danni dei poveri innamorati abbia portato a qualcosa, alla fine. -
- Il Moro è franco e leale e giudica onesti tutti gli uomini, anche quelli che solo all'apparenza sono tali. - citai, mentre sentivo un'insolita gioia prendere possesso di ogni fibra del mio corpo. Potevo tornare a casa adesso, presto tutto avrebbe preso la piega che avevo immaginato sin dall'inizio.
- Il Moro è uno stolto e gli stolti perdono sempre, ma dimmi, stratega, credi che la nostra Desdemona cadrà semplicemente tra le braccia dell'astuto Iago una volta libera dalla promessa di fidanzamento che la legava al nostro poco attento Otello? -
Risi forte. - Roderigo, mio fidatissimo amico, vi ho mai dato modo di dubitare del mio savoir-faire? -
- Oh, vi prego, evitate i francesismi. - mi rimbeccò quello, poi sospirò. - Ma sì, avete la mia piena fiducia, adesso non vi resta che aspettare e raccogliere i frutti del vostro tanto seminare. -
Sghignazzai. - Parole sante. Ci si becca domani a scuola allora! -
Salutai Ezra e salii in macchina, tra qualche minuto sarei tornato a casa, se così potevo chiamarla ... In realtà, cominciavo a sentirmi parecchio fuori posto, ma d'altra parte mi dicevo di pazientare, presto le cose sarebbero cambiate in meglio.
A quel proposito mi chiesi se la Sullivan si fosse già decisa a chiamare Jack per convocarlo nel suo studio. Qualcosa mi diceva che non l'avrebbe presa affatto bene, avrei dovuto tenere gli occhi ben aperti, anzi c'era una certa idea che mi balenava in mente ... un piccolo aiutino che accreditasse le parole mie e di Ezra davanti alla Sullivan. E non sarebbe stato così complicato procurarselo.
Parcheggiai davanti casa e smontai dall'auto. Notai che c'era un certo movimento in cucina, eppure la macchina di mia madre non era lì, così doveva trattarsi necessariamente di Jack. La mia nemesi. L'uomo che presto avrebbe subito la sconfitta più clamarosa della sua vita, e per mano della persona che detestava più al mondo.
Entrai in casa e mi chiusi la porta alle spalle, quel minimo rumore attirò il mastino, lui era in salotto, vigile come Pierce durante i compiti in classe, forse perfino di più.
In quel periodo beveva parecchio, avevo sentito mia madre discutere con lui, l'aveva implorato di smettere, poi perfino di rivolgersi ad un medico, alla fine lui le aveva urlato contro con una furia mai vista.
Anche il suo aspetto era come la sua anima, rispecchiava perfettamente i suoi problemi. Era trasandato, niente camicie costose o jeans all'ultima moda su di lui, se ne stava davanti a me in veste da camera, come se non si fosse neanche fatto la doccia quel giorno. E a giudicare dal fetore di alcol e sudore era davvero così. Aveva la barba lunga di qualche settimana ormai, proprio lui che aveva sempre detestato il disordine.
Non usciva più di casa da quando il medico gli aveva riferito le pessime notizie riguardo alla sua mano, se ne stava in camera da letto, al buio, a meditare vendette sul sottoscritto, ad avvelenare quel suo cuore già avvelenato con pensieri di odio e rancore verso il figlio bastardo che si era trovato in casa.
Ed io osservavo il frutto del mio raccolto con grande fierezza. Mi sentivo Dio, irraggiungibile e perfetto. Un architetto del mondo. Perché io avevo portato quell'uomo alla rovina, ero stato io, con il mio continuo tramare, con le bugie sottili che non si distaccavano mai molto dalla realtà dei fatti a spingerlo sul baratro, ad un passo dal crollare in un abisso nero e impossibile da evitare.
Le mie mani cercarono il cellulare e in qualche secondo lo misi in modalità di registrazione, poi lo nascosi nella tasca della felpa.
I suoi occhi erano acquosi, intrisi di odio e disgusto, un po' per se stesso, un po' per il sottoscritto, pensai, poi lo vidi posare il bicchiere ormai vuoto sul camino e procedere a passi lenti e strascicati verso di me.
- Quella puttana della tua psicologa da quattro soldi vuole parlare con noi. - biascicò con la bocca impastata.
Non l'avevo mai visto in quelle condizioni, era davvero impressionante. - I- io, beh ci andremo insieme allora ... - risposi, con un tremore nella voce che lasciò Jack basito.
Poi sorrisi, aprii le labbra in un sorriso di pura malvagità.
- Che cosa diavolo le hai detto? Che cos'hai in mente, brutto bastardo? - le mani di Jack tremavano, il suo urlo mi investì insieme al puzzo di alcol e sudore. - Tu sei il diavolo in persona. Guarda ... guarda quello che hai fatto a questa famiglia. Troverò il modo di allontanarti da tutti noi, finirai in manicomio, con una fottuta camicia di forza e la bava alla bocca. Perché tu sei stato messo al mondo per distruggerci e se tua madre avesse anche lontanamente immaginato quello che avrebbe generato sono certo che ti avrebbe ucciso mentre eri ancora in grembo!- stava strillando adesso, il suo corpo era colpito da spasmi e il suo volto paonazzo. Non sapevo per quanto tempo ancora si sarebbe trattenuto dal saltarmi addosso e pestarmi a dovere, così velocizzai il processo per incastrarlo del tutto, nonostante avesse già ammesso un bel po' di roba poco carina sul mio conto.
- E tu cosa sei, Jack? Sei davvero migliore di me? Hai finto perfino un pestaggio ai tuoi danni da parte mia per ottenere la fiducia di mia madre. Sei riuscita a farla intenerire, mi hai sempre dipinto come un mostro ai suoi occhi. Ma tu non sei migliore di me ... non lo sei mai stato. -
Jack rise sguaiatamente e non mi sembrò mai più pazzo di quel momento. - Sì! L'ho fatto, ho giocato sporco, perché con te è così che si vince. Soltanto mentendo! Mi sono ammaccato un occhio contro il muro e mio Dio, quanto ho goduto quel giorno a colazione ... vedere il tuo viso confuso mentre ti accusavo ingiustamente. - Jack stava ridendo, scosso da una risata malata.
Mi portai una mano alla tasca e stoppai la registrazione. Avevo tutto quello che mi serviva per allontanare quell'uomo dalla mia vita adesso.
Passai oltre a ciò che rimaneva dell'essere che avevo detestato con tutto me stesso e in quel momento mi sentii quasi triste. Non per quello che gli avevo fatto passare negli ultimi anni trascorsi insieme, né per come l'avevo ridotto di recente ... soltanto mi resi conto che adesso non avrei avuto più nessuno con cui giocare.
- Mi dispiace. -
Jack si voltò verso di me, aveva smesso di ridere adesso, la sua bocca formava una o. Era confuso. - Cosa? -
Abbassai lo sguardo, forse avrei pianto più tardi. - E' sempre triste dover salutare il nemico di una vita, non credi? Vorrei tu fossi stato alla mia altezza, Jack ... forse per un periodo sei riuscito a tenermi testa. -
- Che diavolo stai farneticando? - scosse la testa, incapace di cogliere il senso delle mie parole. Ma io non era da meno, sapevo davvero dove volevo andare a parare?
- Ti mancherò, Jack? Sentirai la mia mancanza almeno un po'? -
Mi fissava, incredulo, ma non rispose.
Così continuai. - Voglio che tu mi pensi, Jack, mi auguro fortemente di averti lasciato qualcosa di mio dentro ... Qualcosa di forte. Non voglio che tu dimentichi la persona che sono. Non c'è cosa peggiore del venir dimenticato ... cadere nell'oblio ... oddio, non voglio neanche pensarci, Jack. -
- Sei pazzo. Mio Dio, tu sei pazzo ... L'ho sempre saputo. -
Non riuscii a trattenermi dal prendere le sue mani nelle mie, lo vidi balzare all'indietro, spaventato da quel gesto che un tempo anch'io avrei reputato assurdo quanto impossibile. Le strinsi forte e lo costrinsi a guardarmi.
- Sono la tua nemesi Jack, sono l'unico ed il solo motivo per cui la tua vita sta andando irrimediabilmente a puttane, te ne rendi conto, sì? - non aspettai una risposta, era troppo sconvolto per parlare, così proseguii. - Bene. Non dimenticartene, allora. Odiami, ma non dimenticarmi. -
Lasciai le sue mani, i miei piedi mi guidarono lontano, lungo le scale che davano in camera mia, per poi finire dritto sul letto.
Il mio viso era rivolto al soffitto bianco, ed in quel momento mi sentii terribilmente vuoto. 

THOSE BAD ANGELSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora