"Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo." Isabel Allende
MICAH
Il giorno dopo decisi di fare una piccola deviazione prima di portare Ezra e me a scuola. Frenai piano davanti a quella che era stata casa mia, notando un attimo dopo la chevrolet bianca di mia madre, parcheggiata nel vialetto.
- Credi che si sia portata Jack dentro? - Ezra si tolse gli occhiali scuri e osservò meglio la villa. Sembrava proprio un investigatore figo.
- Non so, ma non credo. Sarà a casa a crogiolarsi nel dolore di aver perso il proprio bambino. Ad ogni modo mi servono dei vestiti, quindi dovrò andare a verificare di persona. -
Avevo comprato gli indumenti necessari come slip e calze, poi preso qualcosa in presto da Ezra, ma alla fine dovetti ammettere che mi mancava semplicemente la mia roba, computer compreso.
Alla fine smontai dall'auto e mi diressi a passi veloci verso l'abitazione, poi dovetti suonare dal momento che Nicole aveva deciso di cambiare serratura per spingermi a chiederle aiuto, come se fossi un pivellino incapace di badare a sé stesso.
Mia madre non aveva mai capito un accidente di me, come nessun altro all'infuori dei miei amici, del resto.
Fu proprio lei ad aprirmi dopo due lunghi minuti, era ancora in vestaglia ed il suo viso dapprima assonnato e confuso si tinse di emozioni alla mia vista.
- Micah ... -
- Devo prendere della roba e poi sparisco, te lo prometto. -
Mia madre mi lasciò passare, sentivo il suo sguardo preoccupato sul mio volto. - senti, tesoro ... l'altra settimana ho commesso un errore enorme a dirti quelle cose. Ero talmente furiosa che ho perso il controllo. -
- No, Nicole, tu non hai mai avuto controllo. - ribattei, pentendomene subito. Non ero venuto lì per parlare con lei, né tanto meno per ascoltare le sue stupide scuse. Era una donna fortunata, perché nonostante tutto provavo per lei tutto l'amore che un figlio sente per la propria madre. Era la donna che mi aveva dato la vita e questo non poteva cambiare.
- Dove stai adesso? - la sua voce era bassa, sperai che almeno quella volta avesse deciso di non frignare.
- Ho un appartamento, lo divido con Ezra e Dim, quindi non preoccuparti per me. -
Nicole allungò una mano, avrebbe voluto posarla sul mio viso, ma io retrocedetti verso le scale.
- Qui ci siamo soltanto Carl e io, Micah. Jack non si ristabilirà qui se non dopo le nostre nozze. Questa è sempre casa tua, prima quanto adesso, quindi ti scongiuro di prendere le chiavi ... -
Le presi, non perché avessi intenzione di tornare per restare però. Quella era una parte indispensabile del piano che stavo architettando e mia madre aveva appena reso le cose ancora più semplici di come stavano.
- Bene. Vado. -
Salii sopra e fui felice di notare che tutta la mia roba era al proprio posto, un po' come i figli morti le cui madri si ostinano a lasciare la loro stanzetta completamente invariata dal momento della loro morte o scomparsa o quello che era.
Presi una grossa sacca dal mio armadio e la riempii con tutto quello che poteva servirmi per i miei due ultimi mesi di vita. Qualche t-shirt senza maniche, due felpe, le mie scarpe e una o due sciarpe. Alla fine decisi di portar via anche il mio computer e la chiave magica che avevo così abilmente nascosto sul tetto della casa, nella rientranza tra una tegola e l'altra. Mi bastò sporgermi dalla finestra e infilare la dita nella stretta fessura, fortunatamente la chiave era ancora lì. Le piogge non l'avevano spazzata via.
Alla fine scesi in salotto per ritrovarmi ancora una volta il viso smunto e preoccupato di mia madre.
- Posso almeno chiamarti? Ho provato a farlo ma ... -
La interruppi. - Ho cambiato numero. Beh, forse ti farò uno squillo uno di questi giorni. -
Detto questo andai via, non avevo intenzione di intavolare una discussione con lei, ma fui felice di aver raccattato ben due chiavi che mi avrebbero aperto le porte del paradiso.
Quando tornai in macchina Ezra mi fissò con sguardo confuso. - Cosa ci facevi sul tetto? Ti ho visto da qui ... -
- Ho preso questa. - dissi con un sorriso gioviale. Poi gliela passai.
- Una chiave? E' quella di un container? - lo vidi rigirarsela tra le mani, interessato.
- Esatto. Ne ho comprato uno un mese fa, sai ... Weston continuava a starmi addosso e così ho dovuto spostare il nostro quartier generale da un'altra parte. E' li che conserveremo la roba, sai ... l'artiglieria pesante. -
Sentii un'ondata di eccitazione pervadere ogni fibra del mio corpo all'idea di quanto ci attendeva. Perfino Ezra sembrava incapace di trattenere l'entusiasmo.
- Cazzo ... non ci resta che occuparci dei nostri ordigni confezionati in casa. Credi che Dim sia così efficiente? -
- Beh, le Molotov gli sono riuscite bene, no? Inoltre ha fatto saltare in aria parte della palestra, credo che se la caverà egregiamente. -
- Serve un mare di roba però. Sinceramente non ho idea di come faremo a procurarcela. - sospirò Ezra, prima di slacciarsi la cintura.
Eravamo arrivati a destinazione purtroppo.
Così ci ritrovammo a dividerci come sempre, il mio amico ed io non seguivamo insieme proprio nulla, eccetto musica. Però in compenso beccai Dimitrij, era solo e frustrato quasi quanto me, ma quando mi vide il suo volto si illuminò.
- Allora, zombie, come butta? Non si torna quasi più a casa, eh? - gli diedi una gomitata prima di afferrargli il capo e passarci sopra la mano.
Dimitrij rise forte, poi riuscì ad eludere la mia presa. - Beh, vista e considerata la nostra breve aspettativa di vita direi che è meglio spassarmela finché posso. -
- Non hai tutti i torti. Comunque ... - qui abbassai il tono e mi guardai intorno. Purtroppo il corridoio brulicava di gente la cui attenzione era rivolta, ovviamente, sul sottoscritto. - ... lasciamo perdere. Ne riparleremo a casa, Dim. -
Stavamo per dirigersi in classe quando una figura tutt'altro che piacevole si frappose tra me e l'aula di biologia.
Pierce mi fissava con il suo tipico sguardo vuoto, da squalo. Vidi le sue labbra sottili fremere appena, doveva essere un puro segno del disprezzo che provava per me quello.
- Professor Pierce, cosa è accaduto affinché un personaggio del suo calibro si mescoli a questa rozza plebaglia? -
- Ufficio. Adesso. - furono le sue uniche parole.
Alla fine salutai Dimitrij, adesso pallido in viso e fui costretto a seguire quel gran pezzo di merda che a quanto pare non era mai stanco di flirtare con la morte.
- Sai, Larssen, di certo avrai sentito parlare di questa gita scolastica, non è così? -
Dove voleva andare a parare?
- Le notizie circolano, professore. - gli concessi, con voce studiata.
- Bene. Circolano anche tra il personale della scuola. -
- Mi fa piacere, tenersi aggiornati è importante. - sorrisi, ma lui non poté vedermi. Mi stava davanti e a quanto sembrava aveva appena sentito quella strane voci su Ezra e me. Non doveva aver apprezzato.
- Sei l'essere più rivoltante che io abbia mai conosciuto, lo sai? Ma fortunatamente sei anche il più stupido. -
- Quanti complimenti gratuiti, prof. Non so, cosa vuole dimostrare? Che sa essere pungente? Che ha il coltello dalla parte del manico, forse? - beh, non ancora per molto, caro, vecchio Pierce, non ancora per molto, mi ritrovai a pensare con un sorriso sadico sul volto mentre mettevo piede nel suo ufficio.
- Di certo è davvero così. Sono talmente influente qui dentro che potrò decidere sul tuo futuro immediato, Larssen. Dimmi, ti piacerebbe se tutti i tuoi amici andassero in gita mentre tu rimarresti qui? Da solo a Woodland? -
- Cos'è ? Una domanda a crocette? Crede davvero che mi tirerei i capelli se non mi permettesse di andare? -
Mi veniva davvero da ridere e anche forte. Non ero un bamboccio che poteva essere minacciato in quel modo. - quanto è caduto in basso, professore? -
Pierce rise. - Beh, per avere a che fare con uno come te devo necessariamente scendere al tuo livello. Allora, invierò questa lettera al preside. Niente gita per Larssen dal momento che la sua situazione scolastica è più che desolante. -
Feci spallucce. - Faccia pure. Se questo è il meglio che sa fare per averle scopato la figlia. -
Fu soltanto un istante, poi il dolore arrivò, insieme allo schiocco spaventoso che mi percosse le orecchie. L'avevo provocato di proposito e quello schiaffo mi fece aprire in una risata incontenibile.
Pierce era furente, sembrava ad un passo dall'aggredirmi sul serio, vidi le sue mani stringersi forte a pugno, avrebbe voluto strangolarmi, sbattere ripetutamente il mio viso contro la sua cattedra di legno massiccio. I suoi occhi erano iniettati di sangue come non li avevo mai visti e allora capii che dovevo spingere, spingere ancora di più.
- Ne è valsa totalmente la pena però, doveva sentirla ... sì, credo che il mio trattamento l'abbia soddisfatta sotto ogni punto di vista. -
Mi preparai ad un altro assalto, ma non arrivò. Pierce stava prendendo fiato, il suo viso era rosso adesso, fin troppo colorito, poi iniziò a boccheggiare, piegandosi in due.
- Oh, no ... no ... - sussurrai piano. Non poteva schiattare in quel modo, non poteva per nulla al mondo togliermi lo sfizio di essere proprio io l'artefice della sua completa disfatta. - professore? -
Pierce si portò una mano al petto, poi si accasciò contro la scrivania. - C-chiama qualcuno. - la sua voce era un sussurro tombale. Spaventoso.
- Le presterò aiuto soltanto se mi lascerà andare in gita. - sghignazzai a voce bassa. La tensione era alta però, non avevo alcuna intenzione di mollarlo lì.
Pierce annuì, sembrava ad un passo dallo stramazzare, poi tese una mano.
Uscii in corridoio con la mia migliore espressione terrorizzata sul volto. - Presto! Presto, il professor Pierce sta male! Chiamate un ambulanza! -
Accadde tutto in un lampo, improvvisamente mi ritrovai spinto da parte, mentre due professori che non conoscevo accorrevano, seguiti da alcuni studenti, altrettanto sconvolti.
Poi apparve Liv, non doveva essere poi così lontana, la vidi correre verso l'ufficio, ma la porta le venne sbattuta proprio davanti.
- Aprite! Aprite! - picchiettò rumorosamente sulla porta, ma non venne nessuno. Poi i suoi occhi si rivolsero a me, erano infiammati d'ira. - Che cosa gli hai fatto, bastardo? -

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THOSE BAD ANGELS
General FictionLontano dalle luci e dal chiasso della città più bella e trasgressiva della California, Los Angeles, sorge Woodland Hills. In questa cittadina, tra la monotonia della routine quotidiana e qualche avvenimento non degno di nota, quattro ragazzi sono i...