Capitolo 43

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"E ad un tratto capii che il pensare è per gli stolti, mentre i cervelluti si affidano all'ispirazione." tratto da "Arancia Meccanica" di Stanley Kubrick

MICAH


C'era soltanto un motivo per cui mi stavo dirigendo verso l'ufficio di Pierce, vale a dire la promessa che avremmo passato il resto della giornata al capanno di Dimitrij come regalo da parte dei ragazzi per la mia buona condotta a scuola.
Ricordai le parole piene di fiducia di Liv, scritte proprio quella mattina prima che facesse il suo secondo colloquio con i tipi di Philadelphia. Sembrava davvero certa che suo padre, alla fine, si sarebbe rivelato meno stronzo di quanto lo fosse stato fino a quel momento. Ma io non ero dello stesso avviso, in ogni caso quel pomeriggio l'avrei scoperto.
Il corridoio era pieno di gente, ragazzi che avevano finito le lezioni, con le loro facce sfinite ma tutto sommato sollevate perché anche quel giorno erano riusciti a sopravvivere a sei ore filate di lezioni, tra quelle notai il viso di Blake, i suoi occhi chiari mi fissavano per la prima volta dopo parecchio tempo.
Era chiaro che voleva parlarmi, lo capii subito. La vidi avvicinarsi a me con un sorriso sul volto che non avrei saputo descrivere. Mi detestava ancora, ma sotto sotto doveva esserci dell'altro, pensai.
- Ehi ... -
Le sorrisi di rimando. - Qualcuno ha seppellito l'ascia di guerra qui? -
Blake prese un profondo sospiro. - Già, credo sia inutile comportarsi da bambini. Siamo dei ragazzi maturi ed entrambi teniamo molto ad una persona che ci è vicina, quindi ... -
- Per me va più che bene. - le assicurai.
- E poi tu non mi hai mai fatto promesse, no? Credo di aver frainteso tutto quanto. -
Blake Williams che faceva mea culpa? Dovevo davvero essermi perso qualcosa, o forse non mi ero perso proprio nulla ... quella situazione puzzava parecchio. Perché parlarmi proprio quando Liv era dall'altra parte del paese poi?
- Beh, è tutto risolto allora. Niente rancori, spero. Sono in ritardo, mi dispiace piantarti così ... -
- L'hai già fatto in passato, no? - poi le sue labbra si aprirono in un sorriso studiato, la vidi portarsi indietro i capelli. - Stavo scherzando. - aggiunse un attimo dopo.
Come se me ne fosse importato qualcosa, ma questo non lo dissi, non ero così imbecille a discapito di tutto ciò che i miei amici potevano pensare sul sottoscritto. Anch'io sapevo tenere la bocca chiusa in casi estremi come quello.
- Comunque sabato Mark Roberts terrà una festino niente male, mi ha chiesto di invitare un po' di gente. Aspetto te e i tuoi amici. - poi mi dedicò il suo migliore sorrisetto equivoco, sentii la sua mano scivolare lungo la mia schiena, alla fine andò via.
Scossi la testa, quando dicevo che Liv era fin troppo ingenua non scherzavo, eppure non avrei cambiato quella parte di lei con nient'altro al mondo.

La porta dell'ufficio di Pierce era davanti a me, senza pensarci due volte bussai e attesi che i cancelli dell'inferno venissero aperti. In effetti la sua voce giunse un attimo dopo.
- Avanti. -
- Se proprio devo ... - sussurrai, prima di abbassare la maniglia e fare la mia entrata in stanza.
L'ufficio era spazioso e arieggiato, di certo uno dei migliori, in quanto a posizione e paesaggio visibile dalla finestra. Pierce riusciva a sovrastare perfino i suoi colleghi più anziani ... proprio un grosso figlio di puttana senza remore.
Se ne stava lì, a fissarmi dietro i suoi occhialini sottili, con le mani a reggere il mento in una posizione parecchio rilassata.
- Sono sorpreso che tu sia venuto qui, devo ammetterlo. -
- Lo sono anch'io. - risposi, sorridendo appena. Poi mi sedetti e i nostri occhi si incontrarono, nessuno parlò per un lungo istante, entrambi ci stavamo studiando, come due pugili prima del gong.
- Come sta sua figlia? - interruppi il silenzio, allungando le labbra in un sorriso che non riuscivo proprio a trattenere.
Non eravamo lì per fare ripetizioni, lo sapevamo entrambi, quanto per minacciarci a vicenda, per incrementare quell'odio che scorreva nelle nostre vene già da tempo.
Incredibilmente anche Pierce rise, poi si mise più comodo sulla sedia. - Speravo potessi dirmelo tu. A quanto pare non te l'ha ancora detto ... -
Cercai di mantenere un'espressione neutra, non gli avrei permesso di farmi passare per uno stupido.
- E' stata accettata dalla scuola. Il mio vecchio amico non si sarebbe mai lasciato sfuggire la possibilità di ottenere una studentessa come lei. Nessuno con un po' di sale in zucca l'avrebbe fatto. -
Serrai le mascelle, il suo obiettivo era cristallino adesso, voleva farmi incazzare. - Bene, sono immensamente felice per lei. Sa cosa succede a chi assapora tanta libertà tutta insieme? Se ne inebria. Probabilmente starà così bene da non voler mai più tornare qui. Woodland è talmente noiosa ... - buttai lì, era il mio turno di colpire e non me lo sarei lasciato sfuggire.
Vidi Pierce irrigidirsi appena. - Beh, se così fosse potrei benissimo trovare un bel posticino tranquillo a Philadelphia, sinceramente credo di aver dato molto a questa marmaglia di idioti ... -
I suoi occhi erano puntati sul sottoscritto, nella sua mente dovevo essere il leader indiscusso di quella marmaglia, peccato che nessuna offesa di quel genere mi poteva tangere.
- ... sì, non sarà complicato chiedere un trasferimento. - concluse.
Non avrebbe lasciato Liv libera di vivere la sua vita, le sarebbe andato dietro, era perfino disposto a rinunciare alla sua cattedra a Woodland pur di soffocarla con la sua presenza morbosa.
- Suppongo sia così che il vostro infatuamento trova la sua fine. Come ogni tragedia che si rispetti ... nulla è per sempre. - concluse lui, lo sguardo lontano, intriso di una profonda soddisfazione che mi disgustò.
- Beh, sono d'accordo. Nulla è per sempre ... anche i tiranni prima o poi cadono. -
- E' facile credere che io lo sia, non è così? - Pierce puntò i suoi occhi glaciali su di me ancora una volta, ma io non lo temevo, non l'avevo mai temuto in vita mia. Aveva davanti un suo eguale, forse per la prima volta dopo parecchio tempo.
- E' ancora più semplice credere che sua figlia non mi desideri. Le evita di porsi una serie di dilemmi abbastanza preoccupanti. Come, appunto, Liv sarebbe disposta ad abbandonare me per trasferirsi a Philadelphia? Troverà il coraggio di lasciare quel balordo del suo ragazzo che vuole soltanto portarsela a letto? -
Fu un attimo, Pierce sbatté il pugno contro il legno massiccio della sua scrivania, provocando un rumore sordo. Una vecchia enciclopedia cadde a terra con un tonfo.
- Non pronunciare mai più simili parole davanti a me. - fu un sussurro basso, rabbioso all'inverosimile.
- Ho soltanto dato voce ai suoi pensieri. Se non le piace ciò che ho da dire non le rimane che annullare queste sedute, perché diciamolo, questo sarebbe dovuto essere il suo personale metodo di tortura sanzionato e giustificato dalla scuola stessa, ma che cosa accadrebbe se tutto questo le si ritorcesse contro? -
Non mi stava più ascoltando o forse fingeva soltanto, improvvisamente mi ritrovai un grosso tomo davanti. Poi mi porse un foglio e una penna.
- Leggi, memorizza, scrivi. Lo farai fino allo sfinimento. Imparerai a studiare, scriverai un saggio passabile, forse perfino buono. Ma, d'altronde, anche se dovessi diventare la mente più brillante di tutta Woodland ... non ne vedrai mai i frutti. -
Il suo viso si aprì in un sorriso schernitore. - I tuoi passi avanti, sempre se ci saranno, rimarranno tra me e te. Perché tu non uscirai da questa scuola, non fino a quando ci sarò io qui. -
Passerò sul tuo cadavere, pensai, mentre stringevo la penna tra le mani, talmente forte da temere che sarebbe potuta esplodere.
Pierce si era appena guadagnato una pole position sulla mia lista nera, spodestando perfino Jack e privandolo del suo primato assoluto.

THOSE BAD ANGELSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora