Capitolo 22

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"L'amicizia, in sé stessa un santo legame, è resa più sacra dall'avversità." John Dryden


MICAH


Ero sveglio da non so quanto tempo, gli occhi fissi sul soffitto che lentamente veniva illuminato dai raggi del sole provenienti dalla finestra alle mie spalle.
Tra le mani stringevo la foto. Il piccolo regalo di commiato da parte di Kim, lasciata cadere abilmente nella tasca della mia felpa senza che me ne fossi accorto prima di quella mattina.
Era il suo modo per tormentarmi anche a distanza, lo sapevo, eppure non riuscivo a liberarmi dei miei ricordi. La guardai ancora una volta, mi soffermai sull'unica ragazza della foto. Capelli neri portati corti, occhi scuri, la pelle più bianca e diafana che avessi mai visto e quel sorriso, un po' sfuggente, sensuale e misterioso.
Le braccia di April erano posate intorno alle nostre spalle. Kim era alla sua destra, la solita espressione scocciata di sempre, però il suo viso era intatto, nessuna cicatrice a deturpare la sua pelle chiara e priva di imperfezioni.
Ed io? La mia attenzione era stata attirata da altro, guardavo Apri, il suo sorriso, ricordavo ancora la giornata in cui avevamo scattato quella foto.
Era primavera piena, e tutti e tre avevamo deciso di saltare la scuola per fare un giro in treno, non avevamo nessuna meta, così eravamo finiti per fermarci in un parco, avevamo trascorso la mattinata lì, sdraiati sull'erba a raccontare cazzate e ridere come idioti.
Sembrava trascorsa una vita da quel dannato giorno.
Aprii il cassetto del comodino e lasciai cadere la foto lì dentro, sotto uno strato abbondante di polvere e numerose cianfrusaglie che non avevo mai buttato.
Provai ad alzarmi, ma i miei piedi non volevano collaborare, così rimasi un attimo lì, con i gomiti sulle gambe e la testa tra le mani, a pensare ... come se non l'avessi fatto per tutta la notte.
Tornai indietro, a quell'estate di un anno prima, ricordavo il sole che splendeva tra le fronde degli alberi, un enorme prato irto di lapidi intorno a me.
I fiori erano diventati pesanti, le mani sudate, eppure continuavo a procedere.
Kim era seduto sull'unica panchina in zona, proprio in corrispondenza della nuova casa di April, quanto meno, del suo corpo.
Perché non sapevo dov'era finita lei ... mi rifiutavo di credere che fosse tutto lì. Volevo credere nella luce alla fine del tunnel, ad un luogo di pace dopo una vita miserabile.
Kim mi guardò, non sembrava sorpreso, nessuno dei due lo era.
- Orchidee bianche. Erano le sue preferite. - disse, mentre osservava il mio bouquet, proprio identico a quello che aveva appena lasciato sulla lapide, ancora piena zeppa di fiori.
Ricordavo quella sensazione che mi attanagliava il petto, un misto tra sollievo e paura.
- Sei scomparso ... - la mia voce era incerta, quasi priva di tono.
- Oh, sai ... volevo chiamarti. -
- Non mi aspettavo una telefonata, ma potevi almeno rispondere alle mie. - dissi, tutto d'un fiato. Stavo davvero facendo la ramanzina ad una persona che aveva appena perso la ragazza?
Kim sorrise amaramente. - Io non ho più un cellulare, Micah ... sai, credo di aver perso la telefonata della vita. Non ne avrò più bisogno. -
Calai la testa, e non riuscii ad aggiungere altro. Ricordo che avanzai verso la lapide, posai i fiori e andai via.

- Micah? Micah? -
Mia madre era in piedi, davanti a me. Il suo sguardo preoccupato mi riscosse da quei ricordi affilati come lame. - Ehi, va tutto bene? Ti sto chiamando da dieci minuti buoni ... -
Scossi la testa e mi misi in piedi. - Ero solo mezzo addormentato. - mi giustificai in fretta - Comunque, cosa c'è? -
- Ezra è in salotto, dice che vi sareste dovuti vedere oggi. - spiegò mia madre, la sua mano era posata sulla mia fronte.
La scostai. - Sì, già. Sto arrivando. -
Il mio vicino doveva essersi preoccupato per me, senza farci caso avevo finito per non rispondere più a nessuno in quei giorni. Scossi la testa, confuso, mentre leggevo i numerosi messaggi lasciati dai ragazzi, incapace di credere che fossero effettivamente passati due giorni dall'incontro con Kim.
- Ti farà bene uscire un po'. -

Ezra era in salotto, aveva il labbro gonfio e un occhio pesto.
- La prossima volta che rimani bloccato in una rissa vorrei che mi chiamassi prima. - gli dissi, a mo' di saluto, ricevendo uno sguardo profondo, forse perfino risentito.
- Sai, non è che non ci abbia provato a chiamarti, stronzetto. Che diavolo di fine hai fatto? -
Feci spallucce. - Stavo combattendo la terza guerra mondiale, ma era tutto nella mia testa. - ammisi alla fine e sorrisi, provai a farlo almeno.
Dovevo reagire, avevo un bisogno disperato di prendere una boccata d'aria, spegnere quei dannati pensieri che mi avvelenavano la mente da due giorni.
- Arriverà il momento in cui dovrai dirmi che ti succede, Micah. -
Ezra era mortalmente serio.
- Ho ricevuto una visita da New York e la cosa mi ha un po' scosso. -
Quello annuì. - Lo vedo. Sei nei guai? -
- No, non è per quello. Comunque, a te che ti è capitato, invece? E' un regalo francese quello che hai in faccia? - chiesi, cercando di deviare il discorso.
- Già, Pierre è nei casini. Mio padre lo tiene per le palle, tutto dovrebbe filare liscio adesso ... -
Mi sentii sollevato, quanto meno le cose sembravano migliorare per i fratelli Meyer. - Mi dispiace che tu non abbia potuto contare su di me di recente. -
Ezra fece spallucce. - Hai i tuoi problemi, è evidente. Ma noi vogliamo mettere fine ai tuoi pensieri del cazzo, Micah. Motivo per cui adesso ce ne andiamo in giro, ho chiamato i ragazzi, ho detto loro che passeremo a prenderli tra dieci minuti. -
Sorrisi. - Ok, andiamo allora. -
Presi le chiavi dell'auto e montammo su.
Era una bel pomeriggio, fin troppo bello per rimanere chiusi in casa a rimurginare su un passato che non avrei potuto cambiare neppure volendo.
- Chi è questo tuo amico? -
Ovviamente, per quanto Ezra possa essere meno curioso del sottoscritto, non era meno rompipalle però.
- Sei geloso, Roderigo? Vuoi il tuo Iago tutto per te? - dissi con tono malizioso, ma entrambi scoppiammo a ridere un attimo dopo.
- Cerchi di cambiare argomento, Giulietta? - mi provocò Ezra.
Sorrisi. - Hai bisogno di rassicurazioni riguardo la nostra relazione? -
- Vai a farti fottere, idiota di un Larssen. -
- Stai mettendo il broncio? - allungai una mano verso la sua faccia, ma la sua mi raggiunse prima, colpendomi con forza alla spalla. Vidi lo sterzo sfuggirmi di mano.
Per un attimo mi ritrovai nell'altra corsia, per fortuna vuota.
Sgranai gli occhi, anche Ezra adesso aveva perso la sua voglia di elargire spinte.
- Se ci fosse stato un camion saremmo morti. - gli feci notare, con tono allegro.
- Ah, beh ... sì. Suppongo che sarebbe stato talmente veloce da non rendercene neppure conto. Ehi, accosta ... - disse un attimo dopo - ci sono i ragazzi! -

Era vero. I capelli di Zieg erano visibili anche da lontano, quell'enorme zazzera bionda tendente al bianco. Dimitrij si alzò dalle scale del portico ed entrambi vennero dalla nostra parte.
- Quanto volete? - chiesi a quest'ultimo.
- Trenta bocca, cinquanta completo. -
Guardai Ezra che guardò me. - Allora? Ti convince? - mi chiese lui.
- Fammi prima vedere la mercanzia! -
- Ok, idioti. Io salgo. -
Zieg aprì la portiera e si sedette, seguito da Dimitrij che mi salutò con una pacca sulla spalla.
- Evita di toccarlo mentre guida, ha un controllo della strada pari a zero. - lo avvertì Ezra, mentre mi dedicava un sorrisino angelico.
- Se il mio modo di condurre vi da così tanto fastidio com'è che guido sempre io alla fine? -
- Ehi, io non ho detto niente! - si giustificò subito Zieg, poi lo sentii stiracchiarsi. Sembrava beato ed Ezra lo notò.
- Allora? Qualcuno qui ha fatto bingo con un certo biondo muscoloso ... -
Zieg si strozzò con la saliva. - Cosa? Che impiccione che sei, Meyer! Stai diventando peggio di Micah!
- No, per essere peggio di lui ce ne vuole. - si inserì nella conversazione Dimitrij, guadagnandosi l'acclamazione di Ezra.
Scossi la testa, rassegnato. - Qualcuno sa dove cazzo sto andando? - chiesi al trio di ragazzi che adesso ridevano alle mie spalle. Sentii qualcosa come "l'allegra comare", "la vecchia zitella", "l'uccellino canterino". Ed erano tutti epiteti che mi appartenevano.
- Nessuno mi risponde? Ok, perfetto. - sussurrai, malignamente.
Poi i miei occhi vennero attirati da un corteo. Donne in tailleur nero, uomini in giacca e cravatta. Lacrime, fazzolettini che facevano il giro di persona in persona e un grosso portone aperto.
Parcheggiai lungo il vialetto, insieme ad una mezza dozzina di altre macchine.
Improvvisamente i ragazzi smisero di parlare.
- Che stai facendo? - mi chiese Ezra, confuso.
- Sto parcheggiando. - dissi mentre toglievo la cintura e osservavo il trio.
Zieg sgranò gli occhi. - E' un ricevimento. -
Dimitrij era confuso. - Un funerale ... -
Sentivo lo sguardo dei ragazzi sulla mia schiena, mentre smontavo dall'auto e mi abbassavo per fissarli tutti. - Beh, imbuchiamoci! -
La cosa peggiore fu che nessuno trovò niente da obiettare.

THOSE BAD ANGELSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora