"Ogni uomo alla fine incontra la sua Waterloo." Wendell Phillips
MICAH
L'alba del quindici aprile illuminò il mio volto con i suoi primi raggi soffusi. Il cielo si colorò lentamente di un rosso esplosivo, la volta celeste stava piangendo lacrime di sangue, un preludio ad un finale che avrebbe scosso il mondo.
Niente più parole, niente più addii. Soltanto missioni da ultimare.
Ezra ed io non dormimmo quella notte, ci limitammo ad osservare il cambiamento del paesaggio notturno, come bestie selvagge che attendono in silenzio l'arrivo di un nuovo, glorioso, giorno.
Un ultimo sguardo carico di parole non dette, poi mi alzai da lì, lasciando la sua mano. Ci saremmo rivisti tra un'ora a scuola.
Tirai su la zip dei miei stivali di cuoio, poi incontrai il mio viso allo specchio. C'era qualcosa di nuovo dentro di me, io ero del tutto nuovo. Un sorriso increspò le mie labbra, avevo già vissuto quel momento nei miei peggiori incubi, l'altro me aveva vinto, aveva preso possesso del mio corpo alla fine. L'incubo che si tramuta in realtà o la realtà che si tramutava in incubo? Non avrei saputo dirlo.
Uscii di casa alle sei del mattino, i miei piedi mi guidarono automaticamente dall'altra parte della città, poi parcheggiai di fronte all'appartamento di Jack e smontai, calando il cappuccio della mia felpa nera sulla testa. Feci il giro della mia auto e presi il borsone ben nascosto ai piedi del sedile posteriore, poi chiusi tutto.
Entrai nel complesso, avvicinato un attimo dopo da un uomo in uniforme, era il custode.
- E' un po' presto per fare visita ad un amico. - mi disse con sguardo indagatore.
Sorrisi tranquillamente. - Ho le chiavi, non si preoccupi. - feci ciondolare il mazzo davanti agli occhi dell'uomo che, seppur con qualche remore, mi fece segno di salire.
Non presi l'ascensore, mi trascinai per le scale, picchiettando le dita sulla ringhiera, ogni movimento era un sonoro "cling" e mi gustai la salita dal primo gradino all'ultimo.
L'appartamento di Jack era al secondo piano, mi fermai a fissare la porta in acciaio, quella stessa porta che avrebbe dovuto assicurare la sua sicurezza. Ma i lupi non temono gli ostacoli, un predatore trova sempre il modo di aggirarli e finire la propria preda, nonostante tutte le precauzioni che quella possa prendere.La chiave girò nella toppa, un solo piccolo rumore, con l'altra mano reggevo il portachiavi, impedendogli di tintinnare, poi la porta si spalancò davanti a me come desiderosa di accogliere quello straniero che adesso tirava fuori una lunga, sinuosa, mazza da golf.
Sorrisi, lasciandomi affascinare dal bagliore dell'acciaio che brillò nell'oscurità dell'anticamera, era davvero una creatura meravigliosa. Camminai lungo il corridoio, annusando intorno come una bestia a caccia della propria incauta preda, poi la vidi. L'ultima stanza del corridoio, la camera da letto di Jack. La porta lasciava intravedere uno spiraglio di luce, proveniente, probabilmente dalle tende ancora semichiuse. Afferrai uno straccio per pulire i vetri abbandonato su un mobile alla mia destra, poi lo appallottolai nel mio pugno.
L'adrenalina cresceva, inversamente proporzionale al tempo che andava esaurendosi per Jack.Jack ... il mio patrigno ... il mio odiatissimo nemico.
L'uomo era lì, profondamente addormentato, il suo viso sereno era rivolto verso di me, gli occhi chiusi appena illuminati dalla luce soffusa proveniente dalle tende ancora mezze tirate. Dormiva sodo, totalmente incurante dell'intruso che lo fissava dall'altra parte della stanza. Lasciai scivolare il metallo freddo della mazza sul palmo della mia mano, il suo peso era confortevole ed eccitante allo stesso tempo.
Volevo che si svegliasse, volevo che vedesse il suo carnefice e che lo guardasse dritto negli occhi. Volevo vedere la paura sgorgare nei suoi occhi, il terrore profondo prendere possesso del suo corpo mentre comprendeva, attimo dopo attimo, che la sua fine era giunta.Mi avvicinai al suo letto di morte, adesso non cercai di attutire il rumore dei miei scarponi sul parquet della stanza.
TONF, TONF, TONF.Mi abbassai sulle ginocchia, il mio viso era ad un centimetro dal suo, in attesa di un movimento che effettivamente avvenne. Un piccolo tic alle palpebre ancora chiuse, poi il suo braccio si mosse appena oltre il bordo del letto a toccare, inavvertitamente il mio.
Jack sgranò gli occhi, gli concessi un solo istante, un secondo in cui vidi passare sul suo sguardo prima confusione, poi, al riconoscermi, un terrore profondo e arcano, uno sguardo che avevo visto soltanto poche volte in vita mia. Era la paura più bestiale, quella di un daino che veniva artigliato da un leone quando aveva ormai creduto di essere salvo.
Balzai su di lui mentre le sue labbra si aprivano per urlare, ma quell'urlo non giunse mai, non si concretizzò, anzi morì quando infilai con veemenza lo straccio nella sua bocca, calcandolo con tutta la forza che avevo in corpo.
Mugolii disperati, le sue mani provarono ad artigliarmi il volto, ma era troppo tardi, le bloccai sotto il peso delle mie ginocchia, sedendomi sul suo petto adesso scosso da singhiozzi.
Jack si dibatteva disperatamente sotto il mio corpo. Risi, passandomi la lingua sulle labbra. Non avevo mai creduto che la paura avesse un sapore così buono, lo sentivo nell'aria, era qualcosa di sensazionale che non avrei saputo spiegare a parole. Più di ogni altra cosa mi inebriava il pensiero che fossi stato io a provocarla in lui.
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THOSE BAD ANGELS
General FictionLontano dalle luci e dal chiasso della città più bella e trasgressiva della California, Los Angeles, sorge Woodland Hills. In questa cittadina, tra la monotonia della routine quotidiana e qualche avvenimento non degno di nota, quattro ragazzi sono i...