"Non c'è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore." Francis Scott Fitzgerald
MICAH
Camminavo tra i vari scomparti del supermarket puntando i miei occhi sui prodotti messi in esposizione. Non ero mai stato bravo a fare la spesa, il più delle volte mi ritrovavo a comprare tutto l'opposto di ciò che mia madre aveva riportato sulla lista, ma quella volta stavo facendo spesa per i ragazzi e me. Zieg aveva preso un paio di giorni da lavoro e così avevamo deciso di organizzare, in via straordinaria, una cena a casa mia, visto l'assenza sempre più frequente di mia madre, ormai tutta assorbita dai preparativi per il matrimonio.
Quel pensiero mi fece rabbuiare, sentivo una scossa di rabbia scorrere dentro le vene, come se mi fosse stata somministrata e stesse iniziando a fare effetto.
Mi concentrai sulla carne, costringendomi a scegliere tra i vari tagli. Mi sentivo davvero una perfetta donnina di casa, lo stesso pensiero che doveva esser passato, almeno qualche volta, nella mente di Pierce.
L'uomo era in fila, stava aspettando il suo turno davanti al bancone della carne, e mi dava le spalle.
Poi si voltò, come se fosse stato messo in allerta da qualcosa, o qualcuno.
I nostri occhi si incontrarono, ovviamente in uno sguardo tutt'altro che pacifico, anzi mi sembrò più furioso che mai, forse memore del nostro ultimo incontro al June's, dove avevo praticamente assalito verbalmente l'accompagnatore di Liv.
- Ehilà, prof! Gran bella mattinata ... - buttai lì, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
Di rimando ricevetti un'occhiata glaciale. Se l'omicidio fosse stato legale io avrei avuto un enorme gatta da pelare tra le mani.
- Lo era, Larssen, lo era. - poi fece qualcosa che non mi aspettavo, abbandonò la fila e si diresse a passi veloci e decisi verso di me.
- Questo fortuito incontro mi permette di fare qualche precisazione. - i suoi occhi grigi brillarono di puro furore - la prossima volta che ti vedo girare intorno a mia figlia o intorno a casa mia, o intorno alle persone a me care ... giuro che farò sì che la tua vita cambi radicalmente, in peggio. - sussurrò in un sibilo nervoso.
Risi, attirando l'attenzione della casalinghe disperate, lì vicino a noi. - Piano, piano con le minacce. E' sicuro di riuscire a tenere fede alle sue parole? -
Pierce abbassò la voce ulteriormente, il suo sguardo era sempre più preoccupante. - Vuoi mettermi alla prova? Sono il vice-preside della Woodland, Larssen, e nessuno oserebbe mai scavalcare il mio giudizio riguardo la preparazione dei miei alunni. E ti assicuro che non avrò pietà per te, sarai come lo studente attempato dell'ultimo banco, il compagno di cinque generazioni diverse di studenti. Rimarrai bloccato qui, mentre i tuoi amici, mentre mia figlia, continueranno la loro vita lontano da Woodland, lontano da te e allora mi implorerai di avere pietà. -
- E mi faccia indovinare, non la otterrei! -
Pierce annuì. - Non sei poi così ottuso come sembri. -
Risi, incredulo. - E lei non è poi così diverso da me, in fin dei conti. Abbiamo gli stessi gusti in fatto di donne, chi l'avrebbe mai detto. -
La mascella dell'uomo si irrigidì, così come le spalle. Lo vidi chiudere i pugni, stringerli forte e mi preparai ad un attacco, ma ovviamente parlavamo di Pierce, un mostro sì, ma controllato.
- Stai lontano da lei. -
- Altrimenti cosa farà? Non ha ancora capito che non me ne potrebbe importare meno delle sue minacce? Non ho paura di lei, le sembrerà strano, ma io non sono come gli altri. Minacci pure se la fa sentire meglio, ma alla fine dei giochi ci sarà un perdente, e non sarò io. Posso assicurarglielo. -
- Numero venticinque? -
- La stanno chiamando. E' meglio che vada a dare ordini a qualcuno che la ascolterà. - dissi, con un sorriso malvagio sulle labbra.
Vedere Pierce in quello stato mi faceva impazzire di soddisfazione, alla fine mi diede le spalle, ma i suoi occhi bruciavano d'ira.Dopo aver comprato tutto il necessario me ne andai, i ragazzi sarebbero dovuti arrivare da lì a trenta minuti, avrei utilizzato quel lasso di tempo per preparare qualche cocktail che avrebbe accompagnato la cena. Quando smontai dall'auto il mio sguardo venne attratto da una figura dall'altra parte del vialetto, era Ariette e stava caricando le sue attrezzature fotografiche, ovviamente mi aveva notato così come l'avevo fatto io, ma fece finta di non vedermi.
Bene, bene, mi ero fatto un nemico in più, ero talmente bravo in quello ...
- Ehi! - alzai la mano a mo' di saluto, costringendo Ariette a voltarsi verso di me.
I suoi occhi, così simili a quelli di Ezra, incontrarono i miei e li trovai tristi, quasi assenti, non l'avevo mai vista in quello stato, neppure quando Pierre tormentava lei e il fratello con le sue minacce e allora capii che avevo incrinato qualcosa nel loro rapporto, qualcosa che probabilmente non poteva essere riparato.
Ero bravo in quello, una forza della natura.
Ariette non rispose al saluto, mi diede le spalle e continuò a caricare la roba in macchina senza fiatare.
- Ti do una mano. - mi avvicinai, ma un attimo dopo venni colpito dal suo sguardo perforante.
- Togliti dalle scatole, Micah, io non sono mio fratello. So a che gioco stai giocando. -
- Cosa? - ero confuso.
- Ti diverte derubare la gente dei propri cari, della cosa a cui tengono di più al mondo. L'hai fatto con me. E poi Liv! Non te ne potrebbe importare meno di lei, vuoi soltanto portarla via da Pierce, perché lei ... lei è tutto quello che ha. L'unico affetto della sua vita. - sbatté lo sportello dell'auto, la vidi piangere, incapace di trattenersi. - E' quello che fai, vuoi compensare l'affetto che nessuno prova per te, eh? Bene, ci sei riuscito. Mi hai portato via l'unica persona a me cara. -
- Davvero, Ariette? Stai davvero mettendo in discussione ciò che Ezra prova per te? Voi siete cresciuti insieme, siete nati insieme. Tu lo conosci meglio di qualsiasi altra persona al mondo, non cercare di mettermi in mezzo. I tuoi problemi con lui non riguardano me, non l'ho costretto a fare nulla, non l'ho traviato come ti piacerebbe credere. Affronta la realtà dei fatti, Ariette, lui è cambiato e non puoi dare la colpa a me. La gente cresce, acquisisce nuove consapevolezze, forse è il momento che anche tu lo faccia. -
Poi avvenne tutto così velocemente, Ariette balzò fuori dal suo posto, mi schiaffeggiò, lasciandomi un attimo immobile, stupefatto.
Ezra correva verso di noi, lo vidi sbattere la mani contro il finestrino, ma era troppo tardi, Ariette diede di acceleratore, le ruote sgommarono, lasciando una nuvola di fumo e polvere che si espandeva davanti ai nostri occhi.
- Che cosa le hai detto? - mi chiese, allarmato.
- Il tuo piccolo segreto è al sicuro, se è questo che ti preoccupa. - voltai le spalle, non riuscivo a capire cosa volessero tutti da me.
- Non fare lo stronzo, Micah, non farlo con lei. -
Mi voltai, di scatto. Era troppo. - Non le ho detto niente, cazzo. Lo vuoi capire? Hai qualche problemino di fiducia, Ezra, avresti dovuto pensarci prima di fare certe cose con me. - non sapevo perché l'avevo detto, o forse sì, forse volevo ferirlo.
E lo feci.
- So che puoi essere terribilmente crudele quando vuoi, non è necessario che tu mi dia prova di questa tua capacità. -
- Bene, visto che ho mandato a puttane il tuo rapporto con Ariette, visto che a quanto pare sono l'unico qui ad addossarsi le colpe di quanto è successo, non vorrei rovinare ciò che rimane di te. Quindi tornatene a casa. -
Ezra sgranò gli occhi. - Ma che diavolo dici? Non ho mai detto nulla del genere, non fare la vittima, cazzo. -
- L'unica vittima sei tu, povero Ezra, finito tra le mani di quel depravato di Micah. -
- Vai a fare in culo. -
Lo vidi andare via, voltare le spalle e camminare impettito verso casa sua. Nessuno sarebbe rimasto accanto a me, tutti finivano per fuggire come se si fossero lasciati dietro il peggiore dei mali, e la cosa mi stava bene.
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THOSE BAD ANGELS
General FictionLontano dalle luci e dal chiasso della città più bella e trasgressiva della California, Los Angeles, sorge Woodland Hills. In questa cittadina, tra la monotonia della routine quotidiana e qualche avvenimento non degno di nota, quattro ragazzi sono i...