Capitolo 23

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"L'uomo più forte è quello che resiste di più da solo." Henrik Ibsen


MICAH

La dottoressa Sullivan mi salutò con la solita stretta di mano, anche se il suo viso era rilassato adesso, come se il peggio fosse passato e le nuvole all'orizzonte fossero ormai lontane dalla vita sicura e felice del suo paziente. Beh, di certo questo cambiamento di scena aveva spinto alla rovina qualcun'altro.
Sapevo che Jack era in terapia, non solo con la Sullivan, ma era stato forzato a partecipare ad una serie di sedute per alcolisti anonimi, soltanto in quel modo mia madre gli sarebbe rimasta accanto, nonostante tutto.
Pensai alle stronzate che si sarebbe dovuto sorbire.
"Piacere io sono Jack Larssen, sono stato un dentista rispettabile, almeno fino a quando non incrociai la strada del demonio. "
"Piacere Jack, raccontaci la tua esperienza. Da quanto sei pulito? "
Risi e salii in macchina. Misi su uno dei miei cd preferiti e lasciai che fosse l'interprete di quella canzone a raccontare la mia vita.
Ero perso nella musica, ma non troppo da non notare la villa di Pierce, alla mia destra, con il vialetto del tutto libero.
Non era in casa. E Liv era scomparsa dalla mia vita da una settimana piena ormai. Non l'avevo chiamata, né lo aveva fatto lei ... le avevo dato del tempo, forse fin troppo, a quel punto era giunto il momento di capire cosa volesse fare di noi.
Parcheggiai lì e mi diressi a passo veloce verso il portone, poi suonai, in attesa che mi aprisse.
Liv mi guardò come se il peggiore dei suoi incubi si fosse appena palesato sulla sua porta, vidi le sue labbra tremare, di certo non si aspettava di trovarmi lì.
- Sorpresa! - esordii io, allargando le braccia. Poi, senza darle tempo per reagire, la baciai, attirandola a me. Era così tanta la voglia di toccarla, di capire cosa diavolo stesse accadendo nella sua testa.
- Micah! Tu sei pazzo, che ci fai qui? - mi allontanò, vidi le sue mani lasciare il mio petto dopo aver indugiato un po'.
- Volevo vederti. E' chiaro, no? -
Liv era nel panico più totale. - Non puoi venire a casa mia in questo modo! Mio padre sta per tornare, si è assentato per dieci minuti! Devi andartene. - disse, seria.
- Che diavolo ti succede allora? Non me ne vado senza una tua risposta. - sorrisi, sapeva perfettamente che non stavo bluffando.
- N-noi ne parleremo, te lo prometto. Ma voglio che tu vada via per adesso. - provò a chiudere la porta, ma io infilai un piede in mezzo, bloccando ogni suo tentativo. - Micah, devi smetterla. Sono mortalmente seria. -
- Promettimi che ci vedremo, diciamo ... entro due giorni. -
Liv era sconvolta. - Te lo prometto, ma ti prego ... -
Tolsi il piede, per poi assistere all'ennesima porta che mi veniva sbattuta in faccia.
No, non doveva andare in quel modo. Non avrei mollato la presa, né con lei, né con quel bastardo che si ritrovava per padre.
Poi mi venne un'idea, la mia attenzione fu attirata da un cespuglio di rose rosse, dall'altro lato della recinzione che dava su un'altra villetta, identica a quella di Liv.
Mi avvicinai lentamente al giardino, in effetti bastava protendersi un po' per avere accesso a quelle rose, così mi bastò allungarmi per staccarne via una.
Una spina mi si conficcò nell'indice, ma ne era valsa la pena.
La rosa era un bocciolo, una promessa che doveva ancora avverarsi, ma pronta a crescere e risplendere nella sua terribile grandezza. Ed era rossa, come il sangue e la passione.
La guardai un attimo ancora prima di lasciarla cadere sul tappetino di casa Pierce.
Poi montai in macchina e guidai svogliatamente verso il mio quartiere, ma fu proprio quando stavo ormai pensando ad altro che vidi la B.M.W. del bastardo venire verso la mia direzione, dall'altra parte della corsia.
Gli ultimi raggi di un sole ormai morente illuminarono il suo parabrezza ed i nostri occhi si incrociarono. Pierce mi aveva visto.
Suonai il clacson a mo' di saluto o di avvertimento. Insomma, che la intendesse come meglio credeva.

Quando tornai a casa mi resi conto che gli incontri scomodi non erano ancora terminati per quel pomeriggio, Pierre era sul vialetto dei Meyer, e sembrava incazzato come non l'avevo mai visto prima.
- Povero tesoro, non ti crucciare per loro ... hai mai pensato che probabilmente non ti meritano? - sussurrai, quando i nostri occhi si incontrarono.
Vidi Pierre stringere i pugni. - O forse vuoi pestare anche me? Accomodati, ultimamente va di moda fare boxe con la faccia dei ragazzi perbene. - lo provocai.
Quello venne verso di me a passo svelto, mi preparai a reagire, ma non ce ne fu bisogno, si fermò giusto in tempo.
- Non spendo neanche un istante con il figlio di un traditore della patria. - poi sputò ai miei piedi, centrandomi gli stivali.
Sollevai il sopracciglio e la mia mancata reazione non fece altro che aumentare la rabbia che lo alimentava.
- Io sono il figlio di me stesso, Pierre. -
- Oh, beh ... è quello che direbbero tutti se si trovassero uno psicopatico pronto a far saltare in aria il Parlamento come padre. - rincarò la dose, ed i suoi occhi neri bruciavano di rabbia.
- Vuoi prendertela con me, Pierre? Sei così frustrato da voler davvero giocare con il sottoscritto? Vai a mangiare il tuo croissant, da bravo. - gli voltai le spalle, lasciandolo lì, pateticamente solo.

THOSE BAD ANGELSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora