C a p i t o l o 66.

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Stiles era rimasto tutto il tempo adagiato contro la soglia della camera, sentendo la mancanza di Derek nonostante si fossero lasciati pochi istanti prima. Tenne l'orecchio teso per ascoltare cosa stesse accadendo nell'altro stanza. Si sentì quasi cadere quando Lydia intuì cosa avessero fatto quella notte, cosa avesse fatto lui con quella maglietta, con quel corpo. Queste sensazioni, ancora vive in lui, gli fecero venire i brividi lungo tutta la schiena. Sentiva ancora il tocco di quelle mani calde contro il suo petto, di quelle labbra morbide premute sul suo collo. Sentiva ogni singolo atomo, scalpitante, come se stesse implorandolo di vibrare, ancora. Quei tocchi impalpabili, che gli sfiorarono anima e corpo, non furono paragonabili a quelli che vennero provocati dalle parole della ragazza.
"La canzone che hai scritto per lui"
L'aveva fatto davvero?
Stiles sapeva benissimo che non era in grado di suonare una nota, com'era possibile che avesse composto qualcosa per lui?
Si ricordò di quella volta in cui dormirono insieme la prima volta, della volta in cui Derek gli chiese di scrivere per lui, di lui. E Stiles l'aveva fatto. Quello che non sapeva era che, nell'esatto momento in cui le sue dita stavano sfiorando i tasti bianchi e neri, anche quelle di Derek lo fecero. Lo stesso giorno, lo stesso momento.
E ora, torna indietro con me, torna a quel giorno.
Suona anche tu con Stiles, con Derek.
Le dita sul pianoforte, delicate. Non sfiorava quei tasti bianchi e neri da un mese, da quando aveva smesso di vedere Derek. Si lasciò trasportare dal flusso di pensieri, creando una connessione impalpabile tra la sua mente e le sue mani, pronte a dattilografare ogni suo singolo sospiro, ogni sua curva emotiva. Le sue dita tracciavano il percorso della sua mente, fermandosi ogni volta che Stiles si bloccava a pensare a quel ragazzo. Le sue dita abbandonarono per qualche istante quei tasti bianchi e neri. Poi li fece tremare, passando dalla nota alla seminota, più veloce che potesse. Li fece vibrare, li fece vivere.
Bianco, poi nero, poi bianco, infine nero.
Stiles, poi Derek, poi Stiles, infine Derek.
Alternava i colori, alternava i pensieri. Odiava quel ragazzo, ma lo amava al tempo stesso.
Toccò lo nota bianca e si ricordò dei momenti insieme, dei baci e della carezze, della voglia reciproca che avessero, delle lacrime e della connessione mentale che c'era tra i due.
Toccò la seminota nera e un altro pensiero, opposto al primo, gli annebbiò la mente, rendendola incapace, non più in grado di vedere il bello che c'era stato.
Tirò un pugno sul pianoforte, facendosi male. Aveva bisogno di sfogare la rabbia, aveva bisogno di piangere, ne aveva un bisogno disperato. Si alzò per poi crollare sul letto, i pensieri lo seguirono anche lì.
"Un giorno mi suonerai qualcosa",
"Cosa ti piacerebbe?"
"Qualcosa scritto da te."
"Non ho mai provato a dire il vero, a buttare giù qualcosa di mio, se non un paio di volte, ma mi bloccai subito"
"Allora sappi che se un giorno volessi farmi un regalo, questo è quello che desidero: qualcosa scritto da te, per me"
Non sarebbe mai più riuscito a suonare senza pensare a quei occhi, a quella voce.
"Dio, quanto ti odio", disse prima di fiondare la testa nel cuscino.
Non sapeva che in quell'istante qualcun altro, a due chilometri da lui, completamente inesperto in materia, sfiorò i tasti di un pianoforte per la prima volta.
"Sei sicuro di farlo? Potrebbe rivelarsi un completo disastro"
"Si, sono sicuro. È l'unica cosa che gli ho mai chiesto: comporre di me, per me. Lui non lo farà, quindi voglio farlo io per lui"
Stiles si alzò di scatto. Voleva suonare, vedere cosa provasse nel comporre per lui. Sarebbe stata la sua prova del nove, la musica non gli avrebbe mai mentito. Toccò i tasti, creando una sinfonia dettata dalle immagini che gli comparvero nella mente.
Derek, quegli occhi.
Derek, quelle labbra.
Derek, quella voce.
Derek, il suo tutto.
Le dita si muovevano veloci, poi lente, sempre più convinte di quello che stessero facendo.
Non si fermò, voleva andare avanti.
Fu il suo modo per dire a sè stesso che sì, lo odiava, e che lo avrebbe odiato, ma che senza di lui non avrebbe nemmeno potuto vivere.
Qualche minuto più tardi, smise. Ciò che ne era scaturito era la musica più bella che avesse mai sentito.
Si innamorò della sua stessa opera, era innamorato dell'oggetto della sua opera.
Stiles continuò a pensare, appoggiando la schiena contro il muro, per poi lasciarsi cadere a terra, delicatamente. Aveva davvero composto per lui? Era davvero così sincero ciò che provava Derek nei suoi confronti? Non sentì nemmeno più le voci nell'altra stanza, tutto si annebbiò: una nube, una felicità che lo stava raccogliendo da terra per farlo rialzare. Derek, tornato da quella conversazione, gli stava tendendo la mano.
"Vieni, piccolo, se n'è andata"


"Il Coraggio Di Amare", di Stiles Stilinski #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora