(6) Vetro appannato

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Lo sapevo benissimo,
oggi a scuola non dovevo metterci piede, manco per sogno.
Dico mentre sono distesa sul lettino dell'infermeria,
pur di saltare l'ennesima lezione che mi faccia pensare troppo,
visto che non ci capisco niente.
Si, esatto quando non capisco qualcosa,
penso ad altro.
Ed è più le volte che non capisco che quelle che i miei pensieri mi lasciano in pace.
Non a caso,
il prof oggi mi ha ricordato minimo cinque volte di restare sul pianeta Terra,
perché si vedeva chiaramente che avevo qualcosa di strano e non era l'espressione che voleva lui quando spiega un nuovo argomento e tutti lo guardiamo veramente come se fosse un extraterrestre.
Si vedeva chiaramente che io guardavo di continuo il muro o fuori dalla finestra e non perché davanti al muro ci fosse Galileo Galilei o fuori dalla finestra, una mandria di unicorni, ma semplicemente stavo pensando ad una cosa che non dovevo proprio pensare.
Ed era proprio lei, che stavo pensando. Mi pareva di vederla, li di fronte a me, a farmi domande su domande. Alcune non sapevo nemmeno io cosa rispondere e quindi guardavo in giro, in cerca di quelle risposte, scritte appositamente sui muri.
"Signorina Vigo, vuole farsi un giro in infermeria?"
Mi chiede, il professore, dopo il sesto richiamo di distrazione, ormai mi conosce talmente tanto bene, che sa qual'è il mio luogo preferito per isolarmi, dopo il bagno che ormai è pure un luogo scontato e banale.
Ed ora, eccomi qui, appunto.
In infermeria,
luogo sicuro,
un mobile bianco vicino alla finestra con cerotti e disinfettante,
il lettino su cui sono seduta,
le pareti bianche,
che mi verrebbe voglia di dipingerle di tutti i colori e infine quella finestra minuscola, semiaperta, che fa entrare aria gelida di un primo inverno che si sta inoltrando.
Anche oggi sopravvivo ai miei pensieri e non mi pare vero.
Succede, così.
Mi addormento su quel lettino e i pensieri, finalmente, si spengono per un po'.
Come se volessi almeno dormendo, colorarle, davvero, quelle pareti.
Ma è proprio vero: i bei sogni durano poco,
la campanella della scuola suona, svegliandomi poco dopo.
Ritorno a casa con i miei brutti pensieri e quando sei da diverse ore via, non sai mai cosa possa essere successo nel frattempo.
Mi metto a correre, con lo zaino pesante sulle spalle, ma con la preoccupazione di sapere già cosa mi attende.
E infatti questo trovo : mamma, in salotto sul divano, a piangere, papà da nessuna parte.
E Mamma appena mi vede mi inizia a insultare, a dire che tutta la colpa è mia.
Che sono, esattamente, la causa di quel dolore e non posso fare altro che salire in camera a pensare a ciò che non posso risponderle, perché so che in certe circostanze, stare zitti, è meglio.
Chiudo la porta.
Getto lo zaino a terra,
mi butto nel letto,
guardo il soffitto.
Anche qui il colore è un lontano ricordo,
da piccola, le pareti erano tutte colorate,
ora il grigio li ha spenti proprio tutti, quei colori.
A volte mi pare ancora di vedere quel blu mare e quel giallo sole.
E vedo anche il verde e pure il rosa, che contornavano disegni sui muri per farmi dormire sogni sereni.
Poi con una pennellata è diventato tutto grigio, all'improvviso.
Se non mi avresti concepito la tua vita sarebbe davvero migliore, mamma?
La pensi seriamente così?
Lo so che mi vorresti diversa, ma io sono così, non posso cambiare.
Mi alzo e vado alla finestra, è ancora presto.
Troppo presto.
Respiro guardando fuori e il vetro si appanna con esso.
Vetro appannato come i miei stati d'animo.
Confusi e vuoti.

Addio fottuti pensieriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora