▪Eva
Stando da sola non capivo mai se ero dalla parte dei buoni o da quella dei cattivi. Non capivo mai se ero sbagliata o semplicemente avevo paura degli altri.
Pensavo : Se resto nel mio muro non posso ferire nessuno in nessuna maniera.
Quando la gente mi passa accanto, sono invisibile. Dopo un po' pure gli abbracci forzati, mi soffocano.
Non so bene, quando iniziai ad isolarmi e a stare sempre da sola, da piccola avevo un botto di amici e una migliore amica, poi tutto d'un tratto mi ritrovai con nessuno affianco.
Io e la mia migliore amica siamo state sempre insieme fino a 12 anni, da piccole eravamo due casiniste, amavamo fare casino e odiavamo quello dentro. Mi ricordo un giorno a danza, mi ha buttato a terra, pensavo fosse un gioco, ma poi ho capito : era competizione. Non eravamo più tutte due da una parte, era lei contro di me. Secondo lei il mio posto era per terra e il suo sul palco. Non le chiesi mai il motivo del suo odio nei miei confronti, non le dissi mai quanto mi faceva male ogni volta che mi faceva cadere.
L'unica cosa che feci fu smettere di danzare, non potevo più sopportare di vederla tutti i giorni e farmi trattare male. Lei ancora insegue il suo sogno, io l'ho lasciato andare.
A volte cammino nei corridoi della scuola, ho le cuffie e tengo lo sguardo basso. Sono da sola.
A volte invece resto ferma tra tante persone. Sono sempre da sola, ma avere gente accanto mi consola.
Nel primo caso mi sento gli occhi addosso e quindi accelero il passo per andare a chiudermi in bagno, nel secondo caso sto lì ferma e nessuno mi guarda, mi va bene così.
Mi ricordo tutte quelle volte in cui lei dopo avermi gettata a terra, faceva la faccia pentita per chiedermi qualcosa quando le faceva comodo.
《Sparami ancora nel petto, ma non mi chiedere favori. Avevi già messo le mani davanti 'non ti voglio far del male'.》
Questo le scrissi un giorno per messaggio, cosa le portava a farmi del male quando aveva promeso che non lo avrebbe fatto? Da dove era nato tutto questo odio che era così forte da gettarmi a terra? Non trovai mai risposta. Chiusi un capitolo e ne aprì un altro.
Solo che in questo c'ero solo io e questo capitolo iniziò in prima superiore.
Fu difficile sin da subito ambientarmi e socializzare con gli altri.
Persi completamente la fiducia nelle persone, quando vidi un ragazzo leggermente più piccolo di me costretto a restare chiuso in un bagno.
Era lo stesso ragazzo che incontrai qualche mese prima all'ospedale e poi nel gruppo psicoterapeutico.
Quel giorno all'ospedale ero andata per accompagnare mio nonno ad una visita, mi girai e vidi questo ragazzo con un livido ben evidente in faccia con la madre accanto.
La madre gli urlava contro, lui era spento e assente, non rispondeva neanche.
La scena mi intristì tanto, avevo una voglia irefrenabile di avvicinarmi e chiedere cosa fosse successo, ma non feci nulla. Stetti ferma a guardare, come anche quando mesi dopo lo incontrai a scuola, che gridava ai suoi compagni di fermarsi.
La solitudine per me la vive anche lui, solo che la sua solitudine diventerà rabbia e odio verso gli altri, mentre la mia resterà solo la tristezza di restare sempre ferma in un angolo a guardare, per paura di avvicinarmi e legare con persone che poi se ne andranno sicuramente.
La solitudine è strana, la senti dentro ed è difficile da spiegare. Quanto vorrei che esistesse un luogo dove questa non esiste e dove non si viene più gettati a terra. Se un giorno lo trovassi, ci resterei.
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Addio fottuti pensieri
Romance[STORIA COMPLETATA] {Lesbian Story} [In questa storia sono presenti molti pensieri, spero non vi annoi] Beatrice é una ragazza che é stanca della sua vita, odia la sua solita monotonia, non sopporta la sua famiglia e la scuola che frequenta. Per s...