▪Stefania
Da piccola sono stata la più grande tra tre sorelle, le altre due erano gemelle.
Erano uguali, si vestivano uguale e si comportavano nello stesso modo. E poi c'ero io, la più grande di 5 anni, quella che doveva essere responsabile di due mocciose. Quella che non capiva i loro giochi, quella che era esclusa dai loro giochi.
Un giorno rientrando in camera, continuavano a girarmi intorno, non stavano mai ferme. Per terra c'era una strage. In mano avevano i miei peluche, provavo ad acchiapparli, non riuscendoci. Quelle due mi stavano facendo esaurire. Avevo solo voglia di gridare "lasciatemi stare". Avevano distrutto i miei pupazzi, gridavano di giocare con loro. La rabbia mi sopraffava quando toccavano le mie cose. Non riuscivo a prenderle, sembrava si stessero prendendo gioco di me.
Odiavo stare a casa, cercavo sempre di stare fuori più tempo possibile.
Non hai casa dove andare, né persona che ti sappia tenere.
Come da piccola sono cresciuta nel cortile giocando con i maschi, da grande feci lo stesso.
Le mie due sorelle crescendo ebbero idee opposte, la loro alleanza fu distrutta con il tempo.
Prima insieme per un solo gioco, ora contro per lo stesso obbiettivo.
Quella che nacque prima iniziò ad appassionarsi di tatuaggi, piercing, diventò quindi il disonore della famiglia, quella che nessuno ascoltava e capiva. La vedi sempre a casa che gira con le cuffie, ha idee sempre contorte, una volta a mamma è venuto un infarto a vederla sdraiata sulla finestra a testa in giù.
L'altra rimase la principessina di casa, quella perfettina, che mamma e papà amano e supportano in tutto. Il contrario di me e l'altra quindi.
Ogni occasione per me invece viene subito eliminata, i miei non mi permettono di fare niente, mi urlano sempre contro per ogni cosa, anche la più stupida.
Dalla psicologa ci vado sin da piccola, sono cresciuta lì praticamente.
In quello studio, con quei giochi.
La psicologa provava a farmi parlare, ma io stavo zitta e muovevo quel trenino di legno, nella speranza che diventasse vero e portarmi lontano.
Era solo una fantasia.
La psicologa segnava su un quaderno tutto quello che facevo, quindi a volte la guardavo e mi mettevo a fare boccacce. Anche a 12 anni, quando invece dovevo essere un po' più matura.
A 13 anni avevo ancora quel trenino in mano durante le sedute, parlavo e guardavo il trenino.
Finché un giorno non lo trovai più.
"Dove è finito il trenino?"
"Lo abbiamo buttato, si era rotto"
"L'ultima volta era ancora perfetto"
"Ci ha giocato un bambino turbolento e si è rotto"
"Era il mio gioco preferito"
"Sei troppo grande ormai"
"Io sono rotta dentro, che fate mi buttate anche a me?"
"Te non sei un giocattolo"
"A me sembra di si, è da quando sono piccola che mi osservate come se fossi un esperimento"
"Non é così"
"Vi odio"
"L'odio è un sentimento negativo"
"Vorrei che un treno vi investa"
"Questa è rabbia e non è per niente costruttiva"
"Ma state un po' zitti?"
"Manie di protagonismo"
"Andate a fanculo"
"Come sai le parolacce? I tuoi genitori li usano spesso?"
"Ho 13 anni sarebbe preoccupante se non le conoscessi"
"Ma come è il rapporto con i tuoi genitori?"
"Come un treno"
"Cioè?"
"Velocemente distruttivo, sull'onda della disperazione, come il vagone va sul binario seguendo una e una sola direzione"
"E con le tue sorelle?"
"Due vagoni opposti, io sto nel mezzo.
A volte si schiantano una contro l'altra, io devo fermarle"
"È un ruolo importante però, sei tipo un semaforo"
"Un semaforo spento, quindi inutile"
"Come gli altri ti potrebbero riparare?"
"Il fatto è che non possono farlo, nessuno può farlo."
Quando sarò grande andrò via da questa città, da questi ricordi che mi perseguitano, andrò a visitare i sorrisi della gente per strada.
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Addio fottuti pensieri
Romance[STORIA COMPLETATA] {Lesbian Story} [In questa storia sono presenti molti pensieri, spero non vi annoi] Beatrice é una ragazza che é stanca della sua vita, odia la sua solita monotonia, non sopporta la sua famiglia e la scuola che frequenta. Per s...