1- Un gioco di cuori

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Da piccola ero una bambina molto gelosa. Bramavo l'esclusiva sulle mie cose, sugli amici che mi stavano intorno, sui loro sentimenti e non permettevo a nessuno di prendere ciò che mi apparteneva, perché era tutto ciò che avevo.
Se ci ripenso adesso mi viene da ridere analizzando il mio egoismo, un futile inganno nello sperare di possedere veramente qualcosa, che in realtà non avevo. I giochi con i quali passavo i pomeriggi sopra il tetto di questo grande condominio a nove piani insieme agli altri bambini non appartenevano alla mia famiglia come pensavo, sentendomi importante, quanto a un'ente benefico che ogni mese ci procurava sempre piccole cose, giochi appunto o cibi a lunga scadenza, per farci credere che anche la nostra fosse una sottospecie di vita, rendendoli un bene comune, e vi è una comicità velata nella contrapposizione tra donazione da parte di terzi e il mio marcato possesso di quegli stessi oggetti; da da pensare che in fondo i bambini, per quanto svegli, siano i più facili da illudere, persino sul mondo in cui vivono.

Forse un tempo credevo di essere in un'enorme palazzo di cui ero la principessa; le scale di ingresso a piano terra, viste con gli occhi bassi e stanchi con cui ritorno ogni sera, ad oggi sono malconce, è vero, ed hanno lo stesso aspetto trascurato tono su tono con l'atrio e con l'intero edificio ma forse un tempo, quando regnava la fantasia non era la muffa sul soffitto che vedevo uscendo ma il portone a cui conducevano, alto quanto l'intero piano tanto da essere un'enorme finestra spalancata nei giorni di sole, a permetterti di correre fuori, per strada, da Paul il fornaio, proprio all'angolo oppure a quel giardino incastonato tra metri e metri di enormi blocchi in calcestruzzo, che sparivano alla vista del verde.
Forse, ormai non lo ricordo più, sogno così poco e di tutti gli amici avuti sono pochi ad essere rimasti.

Diffida di tutti, era il motto preferito di Abigail, la donna che abitava sopra di noi, diffida perché la gente è maligna, prima ti accorgerai della differenza tra noi e loro, e prima crescerai.
Penso siano state proprio queste parole a farmi cambiare, d'un tratto, aprendomi gli occhi. Il modo con cui mi accaparravo i giochi e creavo una divisione tra me e i miei coetanei, altro non era che un disegno in piccola scala di quello che accadeva nella nostra società: eravamo divisi, e quella distinzione non ero ancora riuscita a coglierla, avvolta nel mio mondo, ma piano piano iniziai a scorgerla nei discorsi tra mia madre e mia zia, nelle frasi borbottate sottovoce da zio Ralph piene di ingiuri e nelle battute ricche di stoccate che si scambiavano le casalinghe da un balcone all'altro, aventi il medesimo affaccio sul nostro cortile interno.
Dalla raccolta di brevi frammenti di frasi celate ai bambini, di sussurri a tarda notte scoprii quello che dovevo sapere: eravamo poveri, da che ne avevamo memoria, da generazioni, e come un morbo, di questa povertà, era ammalato l'intero condominio e l'intero vicinato, quasi che ci avessero raggruppati tutti in un angolo sperduto di mondo, lontano dal centro cittadino, giusto per non vederci.

Da quel momento in poi, scoperto questo, ho temuto qualsiasi altro tipo di rivelazione che mi facesse aprire gli occhi, ed il mio approccio con gli altri era notevolmente cambiato, il mio futile egoismo d'un tratto era apparso ingiustificato e così come era arrivato se ne è andato, lasciando il posto a un carattere che ancora oggi preservo.
Non riesco più a pensare di non condividere il poco che possiedo con le persone del mio mondo, soprattutto con questi occhi e questo sorriso che mi seguono da quando sono arrivata.

Il sole colpisce alto dal cielo del suo mezzogiorno, e se non fosse per il vestito e i capelli raccolti  in una crocchia disordinata sarei già svenuta. I lavoratori del suo team da tempo si sono appartati per  pranzo, ma a quanto vedo lui ha continuato a lavorare da sopra l'impalcatura più alta, confermando quello che da sempre so: è instancabile, affamato di vita e di sogni, di speranze. Non tutti riescono a capirlo, ma io credo di esserci riuscita, ed aver scorto quel piccolo bambino grazioso che fa capricci non appena riesco a ferirlo nell'orgoglio ... conoscerlo mi diverte, mi fa pensare di essere la sua sola compagna di giochi, l'unica con cui parlare.
Forse, un po' egoista sono rimasta.

Ali di farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora