50- La luna e il marinaio

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P.O.V.
Ian

Il sole di questo giovedì mattina mi raggiunge dalle finestre, costringendo il mio corpo ad alzarsi in piedi mezz'ora prima della sveglia.

Casa Lee è un dolce incubo che mi accompagna nelle prime ore e che si manifesta con i peggiori connotati dinanzi la mia indifferenza, quel palese fastidio che mi porto addosso nel dover fare affari assieme a gente del genere, nell'aver capito che forse, probabilmente, persino loro mi tengono sotto controllo.
Persino Richard può non fidarsi realmente di me, comandato da Monty o da altri dei suoi.
L'incontro con Kevin deve esserne la prova, forse avendo giustamente da parte loro immaginato un legame di amicizia tra due membri del South Side o altrimenti avendone tangibili prove.
Non ritengo che gente del genere sia veramente disposta a credermi, senza prima avermi tenuto sotto controllo, dunque ritengo di dover possedere la giusta indifferenza, d'ora in avanti.

Supero il portone di entrata, finalmente in assenza di Monty essendo in una specie di pauroso libero arbitrio, ed arrivo dinanzi alla famosa porta: quello studio di richieste impensabili che sancisce ordini alla mia vita.

<Avanti>

Avanzo secondo quanto mi viene richiesto, entrando con limitato pudore e venendo accolto dal quotidiano quanto probabilmente falso entusiasmo del mio capo.

<Ian, benvenuto, a cosa devo l'onore?>

La domanda mi disorienta, vengo qui a un solo scopo.
<Sono venuto per l'assegnazione dei miei nuovi ordini>

<Ma non ve ne sono. Hai fatto anche troppo fino ad ora adesso riposati>

La frase mi fa tremare, e chiedere in quale momento io possa avere sbagliato, immaginando l'attimo in cui, data la schiena a questa stanza, mi troverò con un proiettile di William impiantato nella nuca, una volta e per sempre.

<Non capisco, signore>

<Ma oggi è il grande giorno!>, commenta aprendo le mani alla stanza.

Aggrotto la fronte in attesa di delucidazioni.

<La festa, Ian, il compleanno del nostro caro familiare, la stessa in cui tu e la Sokolov siete invitati ... perché ti sei ricordato di invitarla, non è vero?>

<Si è offerta lei>

<Molto meglio allora, vi attendiamo stasera>

Annuisco distrattamente, ricevendolo come un congedo. Uscendo sospiro, affatto pronto ad una serata del genere.

Dall'interno di questa lussuriosa macchina la Somolov mi osserva divertita. Sono passate delle ore, si appresta il turno della notte e noi due siamo chiusi dentro questa scatola, con guidatore annesso, tipico della gente ricca.
Non mi era mai stato concesso di usufruirne dunque il merito deve andare alla mia presente accompagnatrice, trattata come una regina da queste sottospecie di persone per cui lavoro.
Me ne compiaccio ricevendone il giusto timore: essere una regina per il diavolo in persona non ti classifica come la migliore delle anime. Questa ereditiera russa deve avere un passato niente male di cui i soli dossier di Damien non mi permettono di venirne a completa conoscenza.
Un poco me ne rammarico.

<Sei molto bello stasera, lo smoking ti dona>, mi lusinga nel suo accento russo e dietro i suoi soffici capelli color castano chiaro, lucenti al pari dell'oro per merito della luce dei lampioni che filtra all'interno della macchina.
Le rendo la sincerità.

<Pure tu sei molto bella. La pelliccia?>, domando notando l'assenza del suo tipico accessorio ad evidenziare con più chiarezza la sua magrezza ed il pallore della pelle. Al contempo però anche la sua femminilità.

Ali di farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora