25- Farfalle in barattoli di vetro

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P.O.V.
Megan

Poche cose passano nell'istantanea di un momento. Piccoli e inutili pensieri vengono soffocati in un oceanico abisso di problemi da una voce superiore che grida, con quanto fiato ha in gola, per potersi far sentire al di sopra di tutte le altre, sgradito ospite all'interno di un palazzo ben arredato e riempito delle più mutevoli cure dal corso degli anni. Per questo motivo la mia attenzione non è focalizzata altro che su di un viso, ed un paio di scuri occhi inglobati dalle tenebre, sostenitori della mia paura e ladri del mio controllo.

<Megan che cos'hai? Chi hai visto?>

<Caleb ...> sussurra una donna che non sono io, ma che ha la mia voce e mi ha rubato il corpo, assumendone il pieno controllo. <Non è stato niente, solo un giramento di testa, non devi preoccuparti, dico davvero> riesce a pronunciare quella donna sicura di se, mentre io invece resto in un angolo, chiusa in me stessa, china sui miei problemi e bugie che ancora non voglio condividere. <Faresti meglio a seguire Nino dietro, in cucina. Per ora nessuno si è fatto vivo, occorrerà del tempo>

Andrebbe bene di tutto, pur di tenerlo lontano da qui.
Quel leone dalla pelliccia dorata ed i denti affilati sta percorrendo la steppa dei nostri prati, e da metri di distanza, nel suo nascondiglio, spia le nostre mosse, pronto ad attaccare.
Non voglio che lo trovi impreparato, preferisco piuttosto che affronti me, come già è stato.

<Caleb! C'è bisogno di aiuto, sei libero per caso?> l'impertinente voce di Debora si affaccia sulla scena, e mai prima d'ora le sono stata tanto grata.
Caleb non si è bevuto la mia bugia, rimanendo a fissarmi in attesa della verità, e mi ferisce non essere riuscita a esternarla, ma è per il suo bene mi ripeto.

<Arrivo dammi un attimo>, lo sento liquidarla, e questa sparisce in una delle stanze appositamente allestite per la serata.
Nel parlare, in un solo attimo, Caleb si è voltato nella direzione della cameriera, facendomi evadere per pochi istanti dalla sua attenta indagine, ma tanto è bastato per permettermi di vedere la figura di William incastrata e nascosta nell'angolo buio della stanza, lontano dalla visuale di Caleb eppure, sono certa, con una vista perfetta su di noi.

La mano destra del mio uomo mi cerca il viso, sfiorandomi il mento che con delicatezza afferra per riportami a se.

<Qualcosa ti ha turbata. Vorrei mi dicessi di che si tratta>

Sfioro la sua mano in un gesto capace di confortare entrambi, anche se sono la sola a rendermene conto. William ci sta ascoltando ed io non posso parlare dello svolgersi di questa serata, mentre prego in tutti i modi che non lo faccia l'uomo che ho di fronte.
La sola uscita che ho per evitarlo è tirare fuori altre bugie da servire su questo tavolo di menzogne, procurandomi però di inserire anche un pizzico della mia realtà.

<Stavo solo pensando a mio padre. Parlando di fronte a tutte queste persone me lo sono immaginato in piedi nella folla, e mi ha fatto male capire che non potrà mai esserci, che non potrà mai mostrarsi fiero del lavoro che stiamo portando avanti, di me> Di questa lotta alla giustizia che stiamo perseverando con le nostre sole forze, perché altre armi non abbiamo, se non la nostra grinta, il nostro coraggio.

Le mie parole sono la sua resa. La sua stretta diviene abbraccio, mentre mi circonda del calore dato dal suo corpo in maniera lenta, senza fretta come se stesse maneggiando un oggetto delicato. Mi appoggio alla sua spalla con il mento, e la voglia di piangere si fa più presente all'orlo dei miei occhi, sentendo quelli di William affacciati sulla scena, sul nostro amore.

<Non devi pensarci, Megan. Quell'uomo ti ha abbandonato, non merita la tua attenzione o il tuo dolore>

<Alle volte mi manca>

Ali di farfallaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora