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Y/n's pov

Tengo in mano il freddo cellulare e resto a fissarlo per un paio di secondi, mentre i brividi mi pervadono dalla testa ai piedi. Le mie dita tremanti non riescono a muoversi e un forte senso di paura e paranoia mi invade, scontrandosi in ogni parete del mio corpo e della mia mente. Non penso di essermi mai sentita così. E' così strano anche solo da descrivere. Mi costringo a rileggere un paio di volte il testo per essere certa di quello che abbia visto e con mio tremendo dispiacere, lo è. Devo cercare di mantenere la calma, di non perdere la ragione "merda, merda..." sussurro rigirandomi tra le dita ciò che sorreggo, mentre forte ansimi iniziano a sfinire i miei polmoni. Ancora prima di pensare ad altro, un altro messaggio dallo stesso mittente viene mandato:

"il tempo scorre, le lame sono sempre più vicine".

Mi alzo in piedi di scatto. Devo andare, devo immediatamente recarmi lì o sarà la fine per mio padre. Corro ad indossare i primi pantaloni che capitano e le scarpe ed esco senza prendere altro con me che il cellulare e il portafoglio. Senza pensarci due volte lascio la camera, sbrigandomi a raggiungere l'uscita e prendere un taxi. Ad ogni passo sento sempre di più le gambe cedermi e salgo sull'auto sfinita, più mentalmente che fisicamente. "m-mi potrebbe portare a questo indirizzo?" farnetico al conducente mostrandogli lo schermo del cellulare. Lui si gira verso di me con occhi semi spalancati e, con aria totalmente sprezzante, mi ordina di uscire dalla sua macchina. "ma signore, è urgente, la pag-" le sue urla mi assordano "fuori di qui! non ci andrò neanche da morto in quel posto! scherziamo!?". Lo guardo sconvolta. "esci!". Non mi resta che fare quello che dice, così scendo e prima ancora di chiudere la portiera lui parte, lasciandomi lì spiazzata. C'è solo un modo. Digito il suo numero in fretta e furia e aspetto che mi risponda. "y/n?" sento dire dall'altro capo della linea. Le lacrime iniziano a lucidarmi gli occhi "s-sì, potresti portarmi in un posto? E' urgente, ti prego. Sono in hotel." farfuglio passandomi una mano sulla fronte. "cinque, anzi tre minuti e sono da te". dice lui. Di fatto, qualche minuto dopo mi ritrovo sopra la sua auto e già in partenza "non potrò mai ringraziarti abbastanza" mormoro appoggiando una mano sulla sua spalla. Michael mi porge un sorriso confortante, un po' preoccupato però dalla zona che dobbiamo raggiungere. "chi ti ha dato questo indirizzo? Non è un bel posto.." chiede accelerando con attenzione, proprio come quella volta, intenti a raggiungere l'ospedale. "Un numero sconosciuto. So solo che mio padre è lì ed è in pericolo" mi limito a rispondere, scacciando con tutta me stessa le lacrime in procinto di uscire con trepidazione. "dobbiamo affrettarci allora" controbatte premendo sul pedale dell'acceleratore. I minuti passano e l'ansia si fa sempre più grande. Tutto attorno a me intanto sembra perdere colore, gli alberi rosa si trasformano in rami grigi e privi di anima, le persone diminuiscono ad ogni chilometro fatto e l'ambiente diventa sempre più opprimente, tanto da farmi soffocare immersa nel mio stesso ossigeno. Continuo a guardare fuori nel silenzio più totale, quando un ambiente familiare si presta a mostrarsi davanti a me. Giro il viso da un vetro all'altro, scrutando la zona. "Ferma la macchina qui Michael" fremo posando una mano sul suo braccio. Lui frena, ma non stoppa il veicolo. "Non pensare neanche per un secondo che ti lascerò andare lì da sola" sbotta procedendo con lentezza. "Nel messaggio c'è scritto che devo essere completamente sola, altrimenti lo uccideranno. E chissà quante videocamere ci saranno qui attorno" ribatto, slacciandomi la cintura. "Ma-" fa per dire, ma lo blocco "devo andare, non aspettarmi" ed esco. "Grazie di tutto, sei il mio eroe" provo a sorridere, ed abbandono la macchina attraversando in corsa la strada deserta. So esattamente che posto sia questo. Ricordo alla perfezione tutto quello che mi è successo dentro quelle dannate mura. Lancio una rapida occhiata alla mia cicatrice sulla gamba e mentre la mia mente stia supplicando ai miei muscoli di iniziare a correre dalla parte opposta, mi dirigo verso l'edificio abbandonato. Alzo gli occhi su ogni dettaglio delle pareti spoglie e rovinate e deglutisco lentamente. Mi mordo il labbro per non piangere e provo con tutta me stessa ad avere coraggio. Guardo il cellulare rapidamente e noto che sono le due di pomeriggio, Jungkook non mi ha chiamata. Sospiro. In men che non si dica gli mando un messaggio sperando che lo legga il prima possibile

𝐏𝐄𝐑𝐂𝐇𝐄' 𝐂𝐈 𝐒𝐈𝐀𝐌𝐎 𝐈𝐍𝐂𝐎𝐍𝐓𝐑𝐀𝐓𝐈✔️Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora