1- La fragilità dell'anima

475 8 32
                                    

Esiste un luogo, tra veli trasparenti d'acque e infiniti cieli, nel quale il tempo assume una forma intangibile, simile all'assenza.
Viverci è facile, occorre solo abbandonarsi a se stessi e lasciarsi vincere dalla consapevolezza che ogni cosa, dalla più piccola alla più mastodontica, risulta in grado di scalfire un'anima corazzata da un'inconscia autodifesa.

Io credo, ormai, di non possedere più alcun istinto di protezione ed il mio respiro è il vento che accarezza i rami secolari di questi alberi, il mio battito cardiaco lo scorrere dell'acqua.

Vivere non è mai stato tanto intenso.

I colori sono più brillanti e i rumori più forti... forse la causa è di queste lacrime.

La debole mano che pende oltre il burrone del mio ginocchio sollevato è una disarticolazione incapace di connettersi ai miei comandi, ma è in grado di stringere ancora tra le dita un ricordo in bianco e nero, stampato su ruvida carta giallastra.

Nonostante il colore di questa rettangolare tela il contrasto immortale del suo sguardo è ancora presente e la mia attenzione è rivolta, per l'ultima volta, a lui prima che la mano, da sola nella propria certezza, si chini fino al moto ondoso della corrente. La fotografia si intinge d'acqua e appesantisce nel cromatismo, rendendo i suoi capelli neri come non sono mai stati.

Osservo quel ricordo scivolare via dalla mia portata, inserendosi in uno stretto canale frastagliato di sassi che lo condurrà fino al mare. A seguito, asciugo con il dorso della mano le lacrime e tento di guadagnare un profondo respiro. La trachea brucia, anche l'aria sembra far male. Che cosa ridicola.

Dalle labbra fuoriesce un gemito incontrollato e gli occhi si chiudono senza che sia io a volerlo. Indice e pollice premono sul condotto lacrimale, tentando di riportare nel mio corpo la ragione.
Eccola che torna... nel frattempo, il vento mi culla.
Ho ancora un dovere, mi ricorda, ed è grazie a un simile pensiero che torno in piedi.

I sassi presenti su questa riva vengono smossi dai miei scarponi in pelle, ormai usurati dal tempo, e scivolano con ripide capriole dentro il lago.
Osservo la stondata punta nera delle mie calzature ricordando il giorno in cui gli vidi intrecciare i lacci delle proprie, in un segnale di sfida, e gettarle oltre un filo, appeso tra i fronti di due case ad ospitare dei panni stesi, la vita della gente.

Nemmeno rammento cosa fosse più candido quel giorno, se il pallido monocolore di quegli abiti o il suo sorriso che ho sempre ammirato come qualcosa di troppo irraggiungibile per uno come me.

Sì, quel sorriso lo ricordo ancora, nonostante sia appesantito dall'acqua, e non è la sola cosa che rammento.
Il giornale aveva liquidato in due righe di commiato la sfumatura del suo carattere; nessuno in paese lo conosceva abbastanza bene e la famiglia era troppo addolorata per vomitare il demone dell'ingiustizia. Inoltre, solo la sorella era in grado, a malapena, di scrivere.

Volto le spalle al mio luogo di pace, lasciando dietro di me il silenzio della natura per tornare alla vita che mi spetta. Risalgo la pendenza della ripida salita che stabilisce l'ingresso di questo posto e la supero, i piedi si stabilizzano su una nuova superficie di contatto e mi invitano a procedere, andando sempre più avanti per uscire dal mio isolamento.

Non occorre molto: a limitare la proprietà del lago, attorno al quale gli alberi si ergono rigogliosi piegando alle volte la testa verso l'acqua, vi è solo una militaresca fila, più spoglia, di alte querce e poi una sottile striscia di lotto non coltivato. Esiste, in quest'ultimo, il principio di un percorso sterrato che conduce a un'ulteriore e breve risalita d'erba, il sentiero dei coltivatori.

Ogni giorno, alle sei e mezza di sera, è quasi possibile sentirli lavorare, in lontananza, i prodotti della terra. Se la notte sostituisse il giorno, le falciatrici adesso sciabolerebbero il grano...

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora