16- Le conquiste di Attila sono le nuove sconfitte

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P.O.V.
Francis

Poche cose destano la mia attenzione quanto una chiamata di Carlail nel bel mezzo della notte, mentre mi trovo steso sul divano di casa con Caleb a fianco e mio padre vicino che osserva, attento, la partita. Anzi, forse nessuna, ed è con la particolarità di questa eccezione che ho intrapreso la strada fino al commissariato.

Immaginavo si trattasse di qualcosa di importante ma mai, prima di adesso, ho visto il capo della polizia sfoggiare un simile aspetto.

Non vi sono presenti, sul suo viso, unicamente i retaggi di una stanchezza che sembra essersi protratta per giorni ma anche una forma lieve di agitazione, trasmissibile anche solo nel gesto dell'affondare le mani all'interno dei capelli e tirarne le ciocche. Quando rialza il volto, quello che riemerge altro non è che la supplica di una clemenza.
Fingo di non leggerla e mi mostro impassibile di fronte alla sua divisa, pronto a qualsiasi cosa sia in grado di dirmi.

«Siediti, Francis, dobbiamo parlare di una cosa importante» mi dice, aprendo il palmo nella direzione di una sedia all'apparenza scomoda, ricoperta di un nero tessuto scucito ai margini.

Eseguo tale consiglio e mi siedo, proprio di fronte a lui, in attesa di vedergli recuperare, a piene mani, qualsiasi derivato del coraggio.

«Non ti avrei mai chiamato a quest'ora tarda della notte se solo non fosse stato necessario. Sono già passate le due, quindi possiamo dire di essere già all'interno del giorno destinato.»

«Che succede, Carlail?»

La sua risposta avanza con la mostra di una cartella grigio chiara, riportante un cognome in stampatello che non mi è noto. Vado alla ricerca del suo contenuto e, aprendola, trovo ogni sorta di certificazione: atti giuridici, assegni, pagamenti, prestiti e denunce di furti. Inoltre, sono presenti persino delle foto.

«Quando sei venuto in centrale chiedendo di seguire i casi di droga ricorderai di non aver avuto, almeno non fin da subito, il mio più totale appoggio. Il motivo è semplice. Vedi, Francis, stiamo seguendo la pista di un riciclaggio da molto tempo, tanto da essere riusciti a infiltrare un uomo all'interno. Stanotte vorrei fartelo conoscere.»

Sollevo lievemente il capo per poter fissare la sua espressione, al di dietro di queste sovrascritte carte. Come ha detto, deve trattarsi di qualcosa di importante per spingerlo a chiamarmi qui a un simile orario dunque mi fido e annuisco lievemente, dandogli il consenso.

Chiudo la cartella, poi, nell'attimo in cui Carlail solleva una mano e, con un suo cenno, permette all'ospite di entrare.

Depongo la cartella sul tavolo e, con la coda dell'occhio, la prima cosa che colgo della figura è il colore nero della sua divisa con riportato, all'altezza del petto, l'acronimo sulla pettorina antiproiettile identificativa del reparto anti droga. La seconda, le due strisce di trecce nere al di sopra delle orecchie che si concludono in un codino corto e mosso.

«Buonasera, capo commissario» si rivolge a Carlail in modo formale, tenendo le mani unite dietro la schiena e le gambe divaricate, in una posa di perfetta stabilità.
Mi volto leggermente, quanto basta a giudicare la correttezza di ciò che avevo appena scorto e l'età che potrebbe dimostrare. Trent'anni o poco più.

«Buonasera a lei, signor McGuire, felici di averla di nuovo tra di noi.»

Più lo osservo e più noto che c'è qualcosa che non va in lui. Non è il tipico poliziotto impostato, in attesa di ordini. La sua figura non ne è che la conferma: le trecce nere, la pelle fin troppo abbronzata dal sole, gli abiti diversi dal blu di cui è dipinto il distretto e il suo cupo sguardo fisso. Prima d'ora non avevo mai visto una tale immobilità e non è solo concentrazione, è anche una forma di attenzione.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora