29- Il vero colpevole

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P.O.V.
Francis

Per tutta la vita ho cercato un uomo da incolpare, contro cui sfogare tutta la mia rabbia per la morte di Gyasi. Una volta trovato gli avrei urlato addosso tutto quello che sentivo e che sento, facendogli capire l'orrore che si prova nel vivere una vita a metà, costretti al funambolismo in una notte nera. Ma sono certo che la persona che ho davanti non conosca ciò di cui sto parlando?

Lui ha teso un filo, da una parte all'altra della città, e su di esso ha ballato leggero, senza farsi mai scoprire. Posando i piedi uno dietro l'altro è rimasto a guardare dall'alto, finché non è caduto.

In quale luogo ci troviamo, adesso, nella nostra battaglia? Dove ci siamo dispersi, remando su fronti opposti?

Nella nebbia non lo riesco a vedere ma sono certo che sia qui, da qualche parte.
Più vicino di quanto avrei mai pensato.

P.O.V.
Rais

Un giorno si sussegue all'altro. Mi sveglio, all'interno del mio nuovo letto, con la luce del sole entrante, prepotente, dalle finestre prive di tende. Dopodiché mi alzo, mi trascino fino al bagno e osservo allo specchio lo stato in cui sono ridotto.

Ad oggi sembra meglio del solito. Le guance come al solito sono scavate ma è dipendente dalla forma del mio viso, costantemente riportante una sorta di malnutrizione o sofferenza, tanto solcato da far apparire i miei occhi più grandi.

Passo una mano lungo le guance, finendo per distendere, come in una lacrima, la pelle attorno ai miei occhi e mi domando cosa diavolo mi stia succedendo. Lo scorso pomeriggio mentre parlavo con Francis, lo stesso in cui gli avevo visto tirare il contenitore di caffè dentro il lavello, qualcosa dentro di me era scattato in maniera differente nei confronti della sua rabbia.

So di cosa si tratta ed è per questo motivo che tento di soffocare quella sensazione a tutti i costi. Solo, è difficile rimanere del tutto impassibili non appena ritorno nel soggiorno e gli passo accanto.

Con la testa leggermente inclinata in avanti e le gambe accavallate, sta osservando fuori dalla finestra tenendo l'indice e il medio posati sulla bocca mentre il giornale aperto riposa sulla parte alta delle cosce. Deve essere rimasto in quella posa, in silenzio, per lungo tempo. La mancanza di una porta tra camera mia e questo soggiorno mi ha condotto fin troppo presto a notare ogni minimo suono presente in casa.

Il sole corre lungo il suo viso illuminandolo per metà, schiarendo i suoi neri ricci e di diverse gradazione anche il verde acceso dei suoi occhi. Riesco ad allontanarmi con forza dalla sua vista solo marciando in direzione del divano, occupando il mio solito posto.

Non mi sono ancora cambiato ed indossare sul corpo questi stracci leggeri che mi ha portato Attila mi costringe ad avvolgermi con le braccia, al fine di trattenere del calore.

Resto a fissare il celeste chiaro dei lunghi pantaloni, dentro i quali è risvoltata una maglietta bianca, fin tanto che questo silenzio non mi esorta nuovamente a sollevare lo sguardo.

Deve essergli successo qualcosa, è diverso dal solito, rifletto, scorrendo gli occhi lungo la sua stranezza sperando di non farmi notare.

Lo schienale del divano copre in parte il mio viso e gli dona l'illusione di una privacy, utilizzata da lui poco dopo in un gesto inconsueto.

Nonostante il suo volto mi sia rivolto di tre quarti noto una lacrima cadergli lungo la guancia dall'occhio meno esposto. Una simile vista mi fa raddrizzare la schiena e rinunciare in un attimo a tutto, a qualsiasi controllo tentassi di avere ma lui la spazza via, pulendosi il viso con il dorso destro della mano, per poi tornare a parlarmi sulle note dell'impassibilità.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora