76- Nero quarzo

47 4 26
                                    

P.O.V.
Samuel

Un atroce beffa si nutre di me con l'inconveniente di una prospettiva che non mi ero prefigurato e veste gli abiti di un piccolo ragazzino capace di osservarmi con occhi tanto dolci, in grado di smacchiare parte del mio peccato.

«Che cosa hai, Attila? Ti senti poco bene?»

Vorrei riuscire a sorridergli, mentirgli e dire che questo mal di testa forse un giorno migliorerà ma come poterlo fare quando si ha la certezza che quest'aureola di dolore, sancita dall'intervento di affilate spine, altro non sia che la materializzazione di tutti i problemi?

«Non è niente, Tommy. Starò meglio» mi limito a riferirgli, lasciando cadere il gesto della mano contro la tempia che tanto lo aveva riempito di preoccupazione.

Eppure continua a non essere certo delle verità che un uomo avente il triplo dei suoi anni pare sancire.
Vorrei che continuasse ad essere diffidente verso tutto. Forse l'intelligenza può fungere nuovamente da arma e colmare lacune che i miei sbagli creano.

Pensavo di avere tutto sotto controllo ed invece...

Espiro con forza, concludendo la cosa con un sorriso diretto verso la piccola figura al centro del suo matrimoniale letto, ma dentro di me vorrei urlare.
Quanti di quegli orfani restano?
Temo di aver perso il conto all'interno di quelle situazioni confuse che avevano messo in dubbio ogni cosa.
Quale, il primo segnale?

Forse, la strada interrotta dai lavoratori serali la notte in cui, alla guida del camion trasportatore di sette di quelle giovani cavie, avevo programmato di metterli in salvo.
Rivedo il volto di quell'uomo, nella sua pettorina arancione per la strada, ruotare la mano nel segnale di continuare a procedere secondo il viale centrale, il solo che mi avrebbe condotto nel lungo vicolo a fondo chiuso nel quale terminava il mio viaggio già stabilito.

Ricordo quel volto e non conosco il motivo per il quale la mia mente l'abbia registrato tanto a fondo. Forse la paura del momento generata dalla certezza di star trasportando degli innocenti verso morte certa. Forse il sesto senso di qualcosa avente quasi la composizione di un errore. L'incongruenza più scorretta di un momento tanto sbagliato da essere perfetto. Forse un insieme di cose... ma rivedo, e rivedo, nella mente quella prima notte alla quale sono succeduti strani, quanti inconcludenti, eventi che mi avevano messo alla gogna. La sconfitta di un uomo che era certo di batterli tutti e che ora si trova costretto a sottostare al giudizio di un bambino avente la stessa età di quel gruppo che lui stesso ha condotto alla morte.

Se solo potesse vedere nella mia anima, Tommy probabilmente vomiterebbe. Gliel'ho visto fare spesso, ruotare il busto e rigettare l'anima nella catinella al fianco del letto, con tanta frequenza che l'infermiera si è interrogata su un possibile peggioramento della malattia del fegato.
Come dire, persino a lei, quanto possa essere stata la sola scelta da compiere al fine di metterlo in salvo?

Il piccolo, al quale ho imparato a volere troppo bene per rimanere imparziale, mi continua a fissare con la sua innocenza priva di limiti tramite la quale analizza lo stato in cui vergo e mi domando quanto abbia compreso della mia anima.

«Attila, secondo te perché non sto guarendo?» Domanda infatti, leggendomi i pensieri, facendomi ispirare di colpo e raddrizzare la schiena.

«Hai ancora dolori, piccolo?»

«Non molti, ma non faccio altro che star male.»

Picchietto tra di loro le mani, tese in avanti verso la sua direzione mentre i gomiti sono appoggiati contro le ginocchia.

«Vedrai che passerà, non devi preoccuparti.»

«In fondo, non è neanche tanto male stare tutto il giorno al letto! Ci sei tu a tenermi compagnia e mamma Dalia mi fa compagnia con le sue storie...»

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora