51- Nella mente del nemico

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"Quelli che ballavano erano visti
come pazzi da quelli che
non sentivano la musica."

Friedrich Nietzsche

P.O.V.
Rais

Il mondo ha assunto una tinta blu scuro oltre il vetro della finestra della mia stanza, e quel blu intrappola un profondo verde smeraldo che per tutto il tempo era rimasto stregato dal gioco di luci generato dai lampioni come dalle auto che passano.
Sfrecciano veloci suoni esterni, ci rendono partecipi di un mondo oltre queste pareti eppure non ne siamo del tutto integrati, né tantomeno chiediamo di esserlo.

I pensieri di Francis necessitano silenzio e questa è la prima volta nella quale posso trovarmi a far parte di quello strano processo di cui Attila, o meglio Samuel, mi ha parlato con ammirazione in poche sole occasioni: il momento in cui Francis ragiona su un caso e lotta, con tutto se stesso, allo scopo di trovarne un epilogo.

Addirittura, ha ripreso a fumare ed è dentro quelle nuvole grigie che il suo pensiero viene intrappolato, accarezzando al contempo la nudità con la quale era entrato, poco prima, dentro questo letto.

Io, invece, ancora disteso sotto queste coperte lo osservo mentre lascio passare, tra pollice e indice, il materiale grezzo delle mie lenzuola pensando al fatto che non potesse essere affatto paragonabile alla seta di William in termini di valore, economico e emotivo.
Su queste mie lenzuola ho fatto l'amore con quell'uomo che sta lottando, anteponendo se stesso agli altri, per far sorgere la giustizia.

Il suo ultimo caso prima di arruolarsi in polizia.

«Vuole farsi notare...» sussurra alla notte, posandosi nuovamente il filtro della sigaretta sulle labbra e assaporandone la nicotina.
I nostri pensieri non sono mai stati più in armonia, dal momento che mi trovo fin troppo consapevole di sapere chi, al momento, soggiorna nel letto mentale della sua frustrazione.

Perché Francis non lavora mai secondo piccoli standard, non ricerca mai la soluzione minimale delle cose ma scava fino alla fonte, fino al nevralgico punto nel quale si prova dolore, fino a William... e mio malgrado mi trovo a deglutire per il disgusto che provo di me stesso, scelte e azioni comprese, domandandomi se anche Francis potrebbe mai amarmi del tutto.

«Non vuole commettere sbagli» mormora ancora, per poi sorridere tristemente, picchiettando la cenere dentro un bicchiere colmo d'acqua che gli ho lasciato a fianco alla finestra.

«Perché stai sorridendo?» Gli domando, tentando di soffocare il malore che mi avvince dinanzi la sua strana manifestazione.

Francis ancora tace. Con la schiena nuda rivolta al mio sguardo picchietta, lento, con minuscoli incoraggiamenti l'apice della sigaretta, tramite la punta delle dita, ed io osservo la cenere cadere, annegare sul fondo del bicchiere, divenendo scura sabbia.

«Perché io e lui siamo simili.»

Il vortice di nausea ormai mi ha raggiunto del tutto, e mi obbliga a sollevarmi dal letto per poter camminare lungo la stanza, nella speranza che questa oppressione se ne vada via presto.

È come rivivere un ricordo, io e lui dentro una stanza assieme al mio malanno ed al suo raziocinio, eppure tutto è cambiato rispetto alla casa in cui eravamo assieme rinchiusi.
Forse, solo quel ragazzo dagli occhi chiari che mi amava con tanta dedizione, dentro quei momenti di pura estasi, saprebbe quanto realmente io tenga a quei momenti. A quanto mi farebbe felice il tornare a rivivere quegli sprazzi di tranquillità dentro i quali eravamo solo giovani.

Nessun discorso inquietante e nauseabondo come questo che ci porti ad illuderci di stare ancora vivendo la tranquillità della nostra vita senza farlo a pieno, perché un mostro si è annidato alle nostre calcagna e per di più si è incollato alla suola delle nostre scarpe divenendo un'ombra.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora