84- Proteggere è sinonimo di amare

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P.O.V.
Rais

Certe azioni ti regalano dei marchi. Sensazioni generate come da un ustione sul primo strato di pelle impossibile da far andare via con dell'acqua calda e del sapone, cosa che li rende alquanto nocivi per la salute della mente. Che genere di male è quello che non si può sconfiggere? Alcuni dottori lo definirebbero inevitabile, intrinseco come è alla natura umana, ma in una vita precedente ero stato capace di scegliere. Era stata mia la decisione di percorrere una strada lastricata di sbagli ed ora mi trovo a fare i conti con ciò che questo comporta.

Voltarsi, lungo una strada, per verificare che nessuno ci segua era stato inevitabile perché amo Francis più di qualsiasi altra persona al mondo e non posso rischiare, non posso rischiare, che qualcuno gli faccia del male. Potrà essere definita una mancanza di coraggio la mia veloce resa nei confronti di William ma era stata dettata da un insieme di maggiori fattori, uno su tutti la paura: sapere di non aver mai avuto niente che mi appartenesse e sentire di amare, come lo amo, Francis in questo modo capace di riempirmi di entusiasmo e di terrore mi aveva condotto all'idea di non potervi rinunciare.
Da sempre ogni cosa è stata corrotta e sporca nella mia vita, sbagliata al punto tale da essere troppo favorevole ad esterni giudizi ma con Francis non era stato cosi. Devo proteggerlo, perché lo amo. Non c'è niente di più semplice.

William non può ferirlo e non deve toccarlo perché non gli è permesso. Qualsiasi gesto provenga da quelle mani, qualsiasi parola fuoriesca da quella bocca sarebbe frenata dal mio ostile divieto.

Eppure sento che qualcosa è stato alterato: si tratta di una sottile percezione che si presenta nelle mie giornate come quel fischio in testa che possono avere solo i pazzi o le persone con l'orecchio tanto fine da essere costantemente a caccia di un invisibile nemico.
L'alterazione nel clima generale si era manifestata da soli pochi giorni e camminava al mio fianco, passo stanco dopo passo stanco, suggerendomi l'ipotesi più terrificante che la mia mente potesse mai generare ovvero l'idea che Francis potesse aver capito in qualche modo tutto e che anche William si fosse accorto di questo. Se solo una simile ipotesi si approcciasse al vero, allora la vita di Francis sarebbe in pericolo e il mio tentativo di schierarmi in sua difesa risulterebbe del tutto vano. Ad ogni modo non credo seriamente che sia possibile. Da dopo quel cazzotto ho imparato a calibrare bene parole e gesti, Francis non può aver capito nulla o aver visto nulla.

Parlando di marchi, la carezza di William è ancora al centro della mia nuca. Brucia come una lacrima di ceralacca che aderisce ad un foglio.

Che cosa era cambiato? Passeggio nei silenzi, noto i suoi occhi persi. Mi innamoro dell'apparente stato di tranquillità di questi attimi con la consapevolezza che non possano essere sinceri.
Quale crudeltà quella che risulta intrinseca all'amore. La potenza di un cuore che illude e delude così come sta facendo il mio. Francis mi odierebbe se solo sapesse che cosa mi sto spingendo a fare, mentirgli al solo fine di tenerlo al sicuro, eppure dovrebbe capire anche quanto per me sia importante proteggerlo. Non ho mai lottato per niente, tantomeno per la mia vita. Accasciato lungo il pavimento di un edificio sporco e abbandonato, con tutta quell'eroina mischiata a cocaina nel corpo, mi ero reso conto, spalancando gli occhi verso l'inferno che avevo intorno, nella stessa inquietante condizione imposta dai feretri dei defunti una volta lasciato agli altri il compito di rimuovere la loro carcassa, che niente aveva un senso sincero di tutto ciò che facevo.

Non avrei perso niente se non il respiro, una volta che la dea della morte fosse arrivata fino alla mia invocazione e mi avesse stretto tra le braccia, per cui la vita era tanto sottile quanto il filo sul quale avevo appeso le mie scarpe nella via vecchia in un sinonimo di possesso.
Era stato Francis a farmi rendere conto di ciò che c'era al di sotto, dell'importanza assunta da quelle pietre rotte che facevano da pavimento ai tre metri d'altezza ai quali avevo legato le mie suole, perché quel luogo non era terra di nessuno ma sanguinava come un corpo in un sistema di arterie zampillanti, feroci se arrivate ad essere recise. Allora avevo capito che cosa significasse essere davvero vivi. Quale emozione fosse la vera rabbia o la tristezza il giorno in cui era arrivato a sussurrarmi tanto vicino da sfidare ogni sua forma di perbenismo, per non parlare dell'amore.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora