63- Proiezioni

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P.O.V.
Gareth

La luce del sole filtra appena nell'ampia stanza della camerata e mi raggiunge alle spalle accarezzandomi la schiena con la stessa delicatezza che ha la mia attenzione, nell'osservarsi intorno.
Mi soffermo sul suo comodino, sfiorando il bordo di quel libro ripiegato nel suo angolo estremo, a causa di una rovina forse data dal tempo o forse dell'affetto.
Più di una volta, la notte, nella penombra della stanza rischiarata solo dalla debole luce che possiede ognuno di noi sopra la testata del proprio letto, lo avevo visto immobile dinanzi le parole che questo piccolo volume contiene. In certi casi anche oltre l'orario richiesto dalle regole di questo posto ma a nessuno aveva dato fastidio.

Anche la luce di quelle notti era tenue ma nonostante la sua poca capacità di rischiarare avevo notato chiaramente come l'attenzione di Francis non fosse rivolta a quelle pagine quanto a un ricordo troppo lontano.

Teneva quel libro aperto, sì, poco sotto il petto ma aveva lo sguardo perso, chino verso un profondo abisso capace di imprigionarlo ogni qual volta che si trovata, anche solo con un piede, anche solo con un neonato pensiero, a cadere nella sua trappola.

Lo avevo notato precipitare, circondato dal suo silenzio, e non avevo potuto far altro che considerare la potenza di quel vortice che lo attirava.

Perché c'è una ragione. Dietro tutte queste sigarette.
Dietro queste pagine arricciolate, come foglie secche, dalla piega che hanno fatta assumere loro delle mani piene di tensione. Dietro l'angoscia con cui mi si era rivolto, uscito dall'incontro con il maggiore McGuire.

Francis ha una persona fuori, che lo aspetta. La stessa che credo sia riuscita a raggiungerlo certe notti in cui fingeva di unirsi al cameratismo di una comune allegria per fare in modo di non dare troppo nell'occhio.

Sì, sono certo che esista, ma non so chi sia.
Senza dubbio deve trattarsi di un sentimento profondo, però.
Dowson non acconsentirebbe a niente di meno.

Sollevo il suo cuscino, poi, osservando il pacchetto di sigarette vuoto, al che lo riabbasso e decido di procedere secondo la reale motivazione che mi aveva esortato ad inventare una scusa con il capo stanza, in modo da entrare qua dentro completamente da solo in un orario in cui non vi era consentito l'accesso.

Compio il mio mezzo giro intorno al letto di Francis in modo da raggiungere l'altro materasso che lo affianca, opposto al mio, ed una volta arrivato noto che il borsone è già vuoto. I vestiti correttamente riposti nel loro spazio, le lenzuola già sistemate, il cuscino presentato senza grinze.

Un perfetto soldato che non ha lasciato alcuna traccia di se fuori posto.

Ruoto la testa per poter notare gli altri letti, correttamente tirati senza grinze o imperfezioni come si conviene ma affiancate, almeno sul comodino, da oggetti personali.

Ma Davies no. Lui non ha posto all'attenzione niente.
Né in prima vista, né nell'oggettisca dei suoi ulteriori possessi. Lo capisco interfacciandomi con i suoi vestiti all'interno dell'armadio designato e quest'assenza di risposte genera un lungo suono che è immagine solo del vuoto.

Nessun soldato si annulla così, tantomeno uno di leva costretto a rimanere lontano dalla propria casa durante il suo periodo di addestramento. A meno che non ne abbia una o che, in alternativa, non la voglia rivelare.

Ticchetto le unghie della mano sinistra contro l'alluminio della struttura che sorregge i letti verticalmente, intrappolato nella vacuità di questa assegnazione priva di un'identità.

Può non essere niente oppure essere un rischio. Non ne ho certezza ma non mi do per vinto, certo che qualsiasi fantasma possa essere stato, almeno in una vita precedente, in possesso di un'anima.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora