97- Il giorno in cui decidemmo di combattere

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"Dimmi chi è che come me

Combatterà con lealtà
io fuggirò e correrò da un'altra notte me ne andrò
La forza che è dentro di me
È fuoco e terra e inquietudine.
Combatterò non perderò l'orgoglio di un guerriero che non muore mai!
Oh! Non giudicar tu non devi insinuare,
Con me non giocare
No che non mi arrendo e non mi arrenderò mai no,
Tu lo sai che un fiore può fiorire dal sale
Come un canto che sale

Sono libero e nessuno mi sconfiggerà no,

Tu non mi avrai così".

Tu non mi avrai così – Zucchero (Spirit)

Due anni e mezzo dopo
P.O.V.
Rais

I polpastrelli sfiorano la coperta di questo letto che abbiamo condiviso mentre il mondo, nell'agonia di ciò che il mio corpo ha ingerito per mettere alla gogna il mio dolore, collassa su se stesso in una vertigine di colori e suoni. Un malessere mi opprime, avrei voglia di inclinare di nuovo il corpo e vomitare. Non ho fatto altro per tutta la notte, sconfitto dalla mia stessa mente che era arrivata a credere alla mano di un uomo che, nel cuore della mia agonia, mi aveva costretto ad ingoiare ulteriori pastiglie che suggerissero una simile reazione. Ero sempre stato io, di mia volontà altrimenti, ad ingurgitarle? Non possono esserne certo, nonostante questa casa sia vuota ormai da un sacco di tempo ed il mio corpo si sia atrofizzato lungo questo materasso.

La luce del sole all'esterno lascia proiettare sulla coperta dei piccoli e sottili raggi che accarezzano la mia nuda spalla e le dita della mano destra, tese verso il vuoto, verso un volto che la mia mente ancora ricorda alla perfezione, tanto da sorridergli nel cercare conforto.

Dei colpi alla porta, però, disturbano il nostro silenzio e si intromettono nella nostra vita in maniera spietata. Non do loro alcuna importanza, lasciando che mi raggiungano, come ogni giorno, nel loro tentativo patetico di riportarmi a questo mondo.

«Rais, puoi aprire questa porta? Ho bisogno di parlarti.»

Rais... nessuno mi chiama più in questo modo da un sacco di tempo e sentirlo pronunciare proprio dalla voce dolce di lei quasi mi fa sorridere. Vorrei dimostrarglielo che mi ha reso felice ma non posso alzarmi, non ne ho le forze.

Dall'altro lato del portone di casa mia immagino Halima, a testa china, riuscire a capirlo. Ha avuto una vita così difficile, lei... non può non farlo, per questo motivo è la migliore delle voci che giungono da dietro la barriera del mio carcere. Lei capisce, lei comprende e dentro i silenzi che lascia vivere tra noi riusciamo a comunicare molto meglio di tutti gli altri. Vorrebbe quasi abbandonarmi al mio dolore, Halima, ma il suo buon cuore non glielo concede. Come un istinto di salvataggio verso quello che entrambi proviamo da tempo la esorta a seguire il consiglio fornito da tutti gli altri nel presentarsi, ormai da anni, dinanzi a questo portone in un coro di suppliche.

«Avanti, Halima... dobbiamo andare» la supplica di retrocedere Marcus, da parte di entrambi.

La vita scorre così veloce nel mondo che ho lasciato distante e mi sembra come possibile vedere il loro amore crescere, se solo chiudo gli occhi. Che sensazione bellissima amare, l'essere amati. Non dovrebbe perdere tempo con me Halima, il tempo è così poco. Il tempo sfugge via e non ci è dato modo di cedere a compromessi.

«No. No, devo parlargli.»

«Halima...»

«Rais, ascoltami. So come ti senti. Lo capisco molto bene, ho perso entrambi i miei fratelli, e lui...» la voce le si rompe, impedendole di proseguire, mentre i miei occhi si chiudono dinanzi il volto che è steso con me, lungo questo letto. «Non gli ho mai detto che l'avevo perdonato da tempo» sussurra, lasciando scaturire una lacrima dai miei occhi.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora