90- Essere diversi

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"Solo se riusciremo a vedere l' universo
come un tutt'uno in cui ogni parte riflette la totalità
e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità,
cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo."

Tiziano Terzani- Lettere contro la guerra

P.O.V.
Gareth

Nell'indescrivibile confusione che genera il tempo il ricordo assume il ruolo di unico e vero narratore all'interno di un gioco troppo spesso incline ai fraintendimenti, dati da menzogne o mancate verità. Ricordo, per esempio, di avere sempre odiato la mia città perché considerata un luogo senza onore, dove la fame minacciava, per paradosso, di portarti via l'appetito assieme alla dignità, rendendola simile ad un invisibile punto cardinale che le carte geografiche erano solite dimenticare e data la mancanza di carattere risultava quasi impossibile definirsi.
Mentre invece in questo posto... il South Side è come popolato di gente ferita e arrabbiata, in grado di celare dentro di se una realtà più dolce che poi viene definita fragilità. Non saprei come altro descriverlo altrimenti ma tutti loro possiedono lo stesso sguardo ed è come se scegliessero volontariamente cosa far trasparire, in base alle situazioni.

Ad offrirmi l'esempio per una simile teoria è proprio Ryan che, uscendo dalla centrale con le mani nelle tasche dei jeans e passo calante, non si vieta di accaparrarsi il diritto di guardare nella mia direzione con sguardo minaccioso. Puro odio. Non riesco a comprendere a cosa sia dovuto ma ricambio semplicemente lo sguardo, volendo mantenere il contatto visivo affinché sia chiaro come da parte mia prevalga la confusione piuttosto che la rabbia.
Per un istante mi chiedo anche che cosa ci stia facendo da solo e se sia pronto ad avvicinarsi a me per parlare, senza bisogno di tutte queste supposizioni, ma l'uscita di Francis dalla centrale mette a tacere ogni altra eventualità.

«Sono arrivato qui in tempo?» Gli domando, notando la fretta che sembra insorgere latente nelle sue mosse.
Francis si osserva attorno, infatti, con circospezione per i secondi necessari a farmi quantificare i minuti restringenti attorno a noi, l'orologio che ha al polso, prima di rispondermi.

«Grazie per esserti presentato. Ho fatto accomodare Hasim dentro, non preoccuparti.»

Spostando gli occhi da Francis riesco a notare Ryan, distante alle sue spalle, appoggiato alla corteccia di un albero con le braccia conserte. Mi sta ancora fissando con quella sua espressione di odio e sospetto, sconosciuta a chi come me è rimasto un mero estraneo.

«Che cosa non va in lui?» Francis volta la testa per un istante nella sua direzione, ma torna presto verso la mia per potermi rispondere. Sospira profondamente prima di offrirmi delle spiegazioni.

«Temo che si sia fatto un'idea sbagliata su diverse questioni, o che qualcuno si sia assicurato che lo facesse, ma ora non è questo l'importante.»

Il consiglio del moro è silenzioso: allontanare lo sguardo dal suo protetto, suggerendomi l'ipotesi di focalizzarmi su di lui che nel frattempo estrae da sotto il braccio una cartella che non avevo notato, poco prima di affidarmela.

«Che cos'è?» In attesa della sua risposta inizio a sfogliarla, trovando dei documenti polizieschi ma anche numerose pagine fotocopiate di quelli che credo essere appunti scritti a mano, su di un quaderno dalla rilegatura giapponese.

«Un caso su cui sto lavorando da anni.»

«Vuoi un aiuto da me?»

«Non proprio, voglio che lo conservi innanzitutto e lo porti lontano da qui.»

Arresto le mani dall'azione data dal ruotare quei pochi fogli per notare come Francis stia facendo scudo a quei documenti con il proprio corpo, nascondendoli alla vista del terzo spettatore della scena.

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora