54- Cuori in cornice

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P.O.V.
Ercole

Anni fa mi sarei vantato dell'autocontrollo che, alle volte, ero in grado di dimostrare, per giunta in situazioni tanto ostili, in grado di farmi rimangiare al contempo azioni e parole ma se quel ragazzo, il me di un tempo, mi vedesse ora posso essere certo che nonostante l'impassibilità sul suo volto non svetterebbe certo la fierezza.

Mi osserverebbe con occhi ostili, per giunta. Nello stesso modo in cui sono cosciente di aver osservato più di una persona che non mi stesse a genio, senza pronunciare a voce relativamente niente.
Già, quell'espressione che sto mostrando con più cattiveria, adesso, analizzando l'uomo dall'altra parte della casa, ma che cosa è a infastidirmi sul serio?

Temo di saperlo dannatamene bene per cui, ancora una volta, sono costretto a sotterrare questa risposta in me, per evitare di fare del male.

«Zio, ti senti bene?» Mi domanda la piccola Valerie, fissandomi dal basso mentre è occupata a tenere tutto quel quantitativo ingente di giornali che ancora non ha abbandonato dinanzi le porte di altre case.

«Tutto bene, piccola, non preoccuparti» la assicuro, svettando un sorriso tranquillo in volto che possa rassicurarla.
Questa mi sorride e si lascia illudere, scivola via da me per poter raggiungere la cucina dove la aspetta mia nonna, in modo tale da lasciarmi di nuovo solo alla mia osservazione, proprio nell'istante in cui Lèa raggiunge il nostro caro ospite.

«Sicuro di stare bene? Nerissa ha detto che occorrerà poco tempo prima che l'antidolorifico faccia effetto» le sento dire, vedendola poi chinarsi verso di lui con gesti gentili che possano essergli di aiuto per sollevarsi dal letto.

Vorrei andargli incontro e scrollarlo dalle spalle, come un vecchio panno dal quale si vuole togliere la polvere, non appena noto la sua mancanza di voglia nel risponderle come si conviene.
Usufruisce solo del supporto che lei gli offre, si appoggia al suo braccio, rimettendosi in piedi nonostante il precario stato di salute in cui verge.

I nostri sguardi si incastrano, diametralmente opposti ma accumunati da un sentimento di fastidio invisibile solo alla figura femminile presente tra noi.

Due settimane, per il completo recupero.
Questo aveva predetto Nerissa, calcolando così l'esatta durata di quella tortura che ho deciso di accettare, solo perché me lo aveva chiesto Lèa.

Se non fosse stato per le sue parole tanto dolci non avrei accettato un simile randagio in casa mia, perché c'è qualcosa, di lui, che non mi convince affatto e non è la strana dinamica con la quale sembra aver perso la mano quanto, piuttosto, quel qualcosa che cela il suo sguardo rancoroso, tanto consapevole del mio.

Ancora non ho idea di cosa possa trattarsi, distratto come sono da altri desideri quale quello di vedergli togliere la zampa da lei, ma mi prometto di scoprirlo.
Sì, me lo prometto, l'attimo stesso in cui la sua mano si stringe con più forza all'avambraccio di lei mentre sono ancora a due passi dal divano.

Stringo i denti tanto forte che Lèa sembra avvertirlo. Solleva la testa verso di me e mi nota. Prima di raggiungermi chiede ancora ad Hasim se gli occorresse qualcosa ed un lieve grugnito funge da risposta.

Non appena i passi si avvicinano a me tento di tenere, a tutti i modi, sotto controllo la rabbia, rivendicando l'anima quieta che ho posseduto un tempo e che lei ha totalmente stravolto.

«Ercole... va tutto bene?»

«Lui non mi piace» sibilo, notando la consapevolezza che Lèa sembrava già possedere di questa affermazione.

«Lo capisco, è piuttosto difficile come persona ma è anche ferito e sembra non avere un posto a cui tornare.»

«Gli manca una mano, Lèa. Gliel'hanno tagliata via.»

Fumo negli occhiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora