Magia

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Il cacciatore di stelle aprì gli occhi. Scese dal pagliericcio che fungeva da letto e si aggirò per la casa silenziosa. Le vecchie assi del pavimento scricchiolavano a ogni suo passo ma Altair, così si chiamava il cacciatore, non se ne preoccupò. Erano ormai cinque anni che la casa era vuota e più di tredici che i genitori e i fratelli erano morti, pochi mesi dopo la sua nascita. Da allora la casa di famiglia era diventata sua. Per un po' era stato affidato a un vecchio orafo del villaggio, ma anche questi era morto. Fu in quel momento che il cacciatore, ancora bambino, aveva capito che i racconti delle favole erano solo menzogne, e che per lui non ci sarebbe stato alcun lieto fine. Si accorse anche che aveva bisogno di cibo per sopravvivere, e che questo non si trovava per strada ma solo in squallide botteghe in centro città o nei banchi il giorno del mercato. E in quei tempi, in cui nessuno aveva mai neppure il denaro sufficiente a sfamare la propria famiglia, era quasi impossibile che qualcuno gli offrisse volentieri un pezzo di pane o qualsiasi altra cosa commestibile. Non poteva certo rubare, a meno che non volesse finire impiccato o bruciato vivo, ma nessuno lo avrebbe accettato come apprendista poiché significava un'altra bocca da sfamare e comunque era troppo piccolo per maneggiare qualsiasi attrezzo. Un giorno però ebbe la fortuna, o almeno secondo lui era stata una fortuna, di essere fermato da un tizio energumeno mentre giocava per strada. Si era avvicinato, chiedendogli se avesse qualcuno che si occupasse di lui. Non ce l'aveva. Il tizio si mise poi a farneticare di un posto di lavoro libero, ben pagato, ma che nessuno era riuscito a conquistare: erano necessarie agilità, scaltrezza e furbizia. Altair era tutte e tre le cose e un pochino di più, continuò quello, e se avesse voluto il posto sarebbe diventato suo. Il bambino accettò. Aveva fame, e la fame lo aveva reso cieco. Il tizio, che indossava un' enorme pastrano nero, aveva il volto coperto da un cappuccio, sotto al quale si intravedevano due occhi neri come la pece e un'ispida barba, anch'essa nera. Ordinò al bambino di seguirlo, e Altair così fece, incespicando per stare dietro all'omone, che a passo veloce si dirigeva in una stradina stretta e tortuosa ai margini della città. Mentre la percorrevano il bimbo insisté per conoscere il suo nuovo compito. Non gli sembrava possibile, ma era sicuro di aver sentito queste parole, borbottate e sussurrate al contempo:-Mio caro Altair, sei stato scelto dal sovrano come suo personale cacciatore di stelle, iniziamo stanotte stessa-
Altair era sicuro di non aver rivelato a nessuno il suo nome. Cosa sarebbe successo se quella sera, al posto di restare in strada, si fosse nascosto in casa come avrebbe fatto chiunque con un po' di buonsenso?

Con questi pensieri nella testa, era arrivato alla porta d'ingresso. L'aprì con un cigolio e la brezza autunnale si infilò fra le cuciture dei suoi vestiti, facendolo rabbrividire. Prima di richiudere la porta alle sue spalle, agguantó la sacca di pelle e il retino. Non possedeva molto altro, ma quelli erano di sicuro gli oggetti più importanti che aveva. Servivano a compiere il suo mestiere di cacciatore di stelle.

 Servivano a compiere il suo mestiere di cacciatore di stelle

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