Parte 46. Vento

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Non era vero. Non poteva esserlo. Sole non stava camminando al fianco di Jason, non lo stava facendo. E di certo il ragazzo in questione non aveva quell'aria soddisfatta e tormentata sul volto, che lo rendeva irresistibile e insopportabile al tempo stesso. Non stava succedendo proprio a lei, Sole, che aveva passato tutta la notte insonne nel palazzo del nemico e che ora sentiva di affrontare una minaccia ancora più grande: l'unico ragazzo, che si era illusa provasse qualcosa per lei ma che in realtà la odiava, ora non era accanto a lei e non la stava inondando del suo profumo di bagnoschiuma al caramello. E, invece, era proprio così. Era così furiosa...Luna l'avrebbe pagata per quella tortura. Una pausa, aveva detto? Quella per Sole più che un momento di tranquillità era una tortura. Avrebbe preferito trovarsi di nuovo sotto il tavolo del castello di Alabaster, vedere il sovrano uccidere altre mille stelle piuttosto che trovarsi lì, nel bosco, con le melodie degli uccellini che risuonavano nelle orecchie, i sussurri delle foglie mosse da una brezza leggera che somigliavano più a risate e pettegolezzi che non ad un semplice fruscio. Quel giorno il bosco aveva deciso di rivelarsi in tutta la sua bellezza, lussureggiante e luminoso come non mai, quasi a voler prendersi gioco di lei.
E, come se non bastasse, il cuore di Sole batteva così forte nel petto da farla tremare, e le guance andavano in fiamme ogni volta che osservava i lineamenti del ragazzo illuminati dai deboli raggi di sole, che aveva scelto proprio quel giorno di ricomparire. Ma perché quando era con lui doveva comportarsi in un modo tanto ridicolo? Angosciata, cercò di concentrarsi solo sul terriccio bagnato che i suoi piedi calpestavano, evitando radici e sassi sporgenti. Ci mancava solo cadere nel fango e rimanere inzaccherata fino alla punta dei capelli. Strinse con rabbia il manico del cesto di vimini che teneva in una mano. Glielo aveva lasciato Luna, nel caso avessero trovato, qualche bacca o fungo commestibile. Tanto sarebbe rimasto vuoto, lei non avrebbe raccolto nulla e neppure Jason sembrava intenzionato a farlo.
Camminarono per un po', in silenzio. Ma quanto sarebbe durata ancora quella punizione? Si chiese Sole infuriata, mentre i rumori della foresta sembravano deriderla. Per un attimo sollevò lo sguardo dal terreno, osservando le nocche diventate bianche a causa della presa stretta attorno al manico del cesto. E poi successe. Il suo piede rimase impigliato in qualcosa nascosto tra le foglie secche, e lei in un attimo perse l'equilibrio. Il tempo che passò da lì al momento dell'impatto fu eterno. Già Sole si immaginava tornare al faro sporca e furente, rossa di vergogna come non mai... peccato che non cadde mai. Proprio quando aveva perso ogni possibilità di ritornare stabile sui propri piedi, due mani forti la presero per la vita, sollevandola. Sole percepì il calore della pelle di Jason attraverso la stoffa sottile della maglietta, e sentì uno strano calore crescerle nel petto e diffondersi in tutto il corpo, facendole dimenticare ogni cosa, tranne quel tocco delicato e al contempo fermo, a cui si aggrappò con tutte le sue energie. Quel tocco era una melodia dolce che le offuscava la mente. Ma poi impallidì di colpo. Era passato qualche secondo ormai dal momento in cui era inciampata, e solo ora si capacitò di ciò che era accaduto, rendendosi pienamente conto che l'unica cosa che separava la pelle del ragazzo dalla sua era il tessuto sottilissimo della sua maglietta. Doveva essere svenuta all'impatto con il terreno, oppure il fatto di non aver dormito le stava facendo venire le allucinazioni. Perché il Jason a cui non riusciva ad abituarsi, quello cupo e sfuggente degli ultimi giorni, non l'avrebbe mai toccata in quel modo, come se lei fosse una cosa fragile, da proteggere. E amare. Percepì il suo respiro caldo e regolare che le accarezzava dolcemente il collò. Si sentì infiammare, e bruscamente si staccò dal ragazzo. Non voleva essere ingannata da lui un'altra volta, non avrebbe potuto permettere al suo cuore di ricomporsi solo per poi spezzarsi in mille frammenti una seconda volta. Sarebbe stato troppo doloroso, e lei non voleva più soffrire.
Si allontanò di qualche passo, il respiro corto, cercando di ritornare lucida. Le mani di Jason attorno la sua vita le avevano impedito per un attimo di ragionare, ma ora stava lentamente tornando in sé stessa. Forse, ora che ci pensava, sarebbe stato meglio finire a terra, almeno non si sarebbe sentita così terribilmente imbarazzata.
-Tutto bene, Sole?- la voce di Jason le giunse lontana e ovattata, e lei non seppe decidere se somigliasse più alla brezza estiva che scompigliava i capelli in primavera o a un vento gelido che schiaffeggia il viso nelle fredde mattine invernali.
-No, affatto- ringhió lei, ma le parole uscirono dalle sue labbra incrinate e tremanti, facendola sentire ancora più fragile e indifesa, e aumentando l'odio che provava verso sé stessa.
-Sole...-
-No, Jason, basta. Smettila, ti prego- lo implorò lei.
-Di fare cosa?- il ragazzo ora sembrava confuso.
-Di fare cosa?- ripeté Sole con rabbia -ti comporti come se ti avessi fatto qualcosa di male, o come se fossi una gran scocciatura, prima fingi di essere mio amico e poi mi spezzi il cuore...- la voce le si incrinó.
-Sole, non è come credi- il viso del ragazzo si adombrò, e lei vide la sua mascella tesa, studiò il suo viso angelico che non aveva mai smesso di farle battere il cuore. Perché Sole, nonostante fosse distrutta, non poteva più negare i suoi sentimenti, non a sé stessa, almeno.
-E allora com'è, Jason?- chiese, e gli occhi le si riempirono involontariamente di lacrime al pensiero di come lui l'aveva trattata.
-Sono stufa di non sentire altro che bugie, stufa di tutta questa storia. Io vorrei solo poter realizzare il mio sogno, e tutto l'universo sembra impedirmelo- non gli disse che il suo sogno era proprio lui, non voleva sentirsi rifiutata un'altra volta. Guardò affranta il ragazzo, la cui espressione si era indurita. Un vento forte e rabbioso cominciò a vorticare loro intorno, e il ragazzo si prese la testa tra le mani, con una disperazione che Sole non aveva mai visto e che le fece stringere il cuore. Il vento si placò, ma continuò a soffiare, feroce e inarrestabile.
-Jason...- provò a chiamarlo.
-Sole, stammi lontana- le ordinò lui con urgenza. Lei non lo ascoltó. Stava cominciando a capire qualcosa di quella situazione, e non si sarebbe di certo arresa. Lei era una guerriera, non una principessa indifesa, e ora avrebbe tentato di salvare Jason da quel dolore misterioso che sembrava affliggerlo. Senza più paura che lui la allontanasse, si avvicinò, prendendogli le mani tra le sue, incredibilmente piccole e minute.
-Guardami- disse.
-Sole, non capisci, ti prego...-
-No. Ora mi devi delle spiegazioni- i suoi occhi verde smeraldo si fissarono nei suoi, e solo allora vide le pagliuzze dorate che galleggiavano nelle sue iridi, come stelle di una galassia lontana. Il ragazzo chiuse gli occhi, allontanandosi appena e lasciando le sue mani.
-Non posso permettere che accada un'altra volta- il vento gli scompigliava i capelli castani, e Sole lo trovò irresistibile. Attese che continuasse, e infatti, poco dopo, Jason inizio a raccontare, con voce triste e dura.

-Ci eravamo appena trasferiti in Egitto, io e la mia famiglia. I miei genitori facevano gli archeologi, e la proposta di lavoro per studiare i ritrovamenti sulla civiltà egizia e le piramidi, era un'offerta che non potevano rifiutare. Ricordo che avevo sei anni, e i loro occhi brillavano per la sete di sapere e conoscenza. Sarebbe stata un'esperienza indimenticabile, per loro. Per me, nient'altro che un supplizio. Avevo lasciato la scuola e gli amici, tutto il mondo che conoscevo, per loro e il lavoro. E li odiavo, ero terribilmente arrabbiato con loro per tutto questo. Quel giorno, il mio umore era veramente pessimo, anche peggio dei giorni precedenti, ma erano riusciti a convincermi a visitare gli scavi dove di lì a poco avrebbero cominciato a lavorare.
Mi chiesero cosa ne pensassi, quando, finito il tour, ci fermammo appena sotto a una parete di pietra. La terra e la sabbia ci circondavano, appena fuori da quel corridoio di mattoni. E io cominciai a urlare, urlai al mondo quanto odiavo quel posto quanto poco mi importasse di loro e del loro stupido lavoro. Ero accecato da una furia mai provata prima. E, proprio mentre riversavo su di loro tutta la mia rabbia, il vento cominciò a soffiare così forte da alzare intere nuvole di sabbia. Mia mamma, spaventata, mi attirò a sé, per proteggermi, ma io mi dimenai e corsi via lontano. Fu solo dopo poche ore, quando mia nonna arrivò da me, comunicandomi la notizia con le lacrime agli occhi, che capii cosa era accaduto. La forza sovraumana del vento aveva fatto cedere le solide pareti di mattoni, che erano collassate, seppellendo i miei genitori. Non ero riuscito a controllarmi, a tenere a bada i miei poteri, e li avevo uccisi. Avevo sei anni, ma ero già un'assassino- la voce di Jason si ruppe, e Sole lo guardò, voltarsi dandole la schiena.
-Mi dispiace tanto. Io...come puoi pensare che questo possa cambiare le cose?- gli chiese con quanta più delicatezza possibile.
-Non so controllare la rabbia, Sole, i miei poteri- pronunciò quella parola con disprezzo -hanno ucciso i miei genitori- i suoi occhi, velati di una rabbia che lei non aveva mai visto, ritornarono a incrociare i suoi.
-E allora? Se pensi di liberarti di me tanto facilmente, sappi che ti sbagli di grosso-
-Ma io non posso permettere che ti accada qualcosa-
-E perché?-
-Perché tu sei troppo importante per me e, anche se posso sembrare egoista dicendolo, non potrei sopportare l'idea di perdere qualcuna a cui tengo così tanto- rispose il ragazzo, e Sole si sentì arrossire. Nessuno le aveva mai aperto il suo cuore in quel modo, mostrandole angoscie, paure e segreti senza alcun filtro, e lei gli era grata per questo. Solo in quel momento si rese conto del terribile senso di colpa con cui Jason doveva convivere ogni giorno, e desiderò immensamente poter fare qualcosa per alleggerire il suo fardello.
-Non puoi essere sicuro che stare con te possa compromettere la mia sicurezza- affermò, quasi implorante, anche se il vento che continuava a soffiare era la prova dell'esatto contrario.
-Non puoi neppure essere certa che non ti accada nulla- ribatte Jason con un sorriso amaro ad adombrargli il volto.
-Sono pronta a correre il rischio- disse Sole, in un soffio, e a quelle il viso del ragazzo si addolcì.
-Hai ragione, Sole-
-Io ho sempre ragione- rispose lei, con una risata nervosa. Trascorsero qualche minuto in silenzio, gli occhi dell'una persi in quelli dell'altro. Ogni traccia di rabbia era svanita dalla ragazza, lasciando il posto a una fiamma diversa, che ardeva con dolcezza riscaldandole l'anima non più inquieta. Sperò che anche Jason, si sentisse meglio, e si disse che non le importava nulla di ciò che lui le aveva fatto, di tutte le ferite che, forse involontariamente, aveva inferto al suo cuore. Magari si stava comportando da ingenua, mostrandosi con i suoi sentimenti senza alcun muro dietro il quale nascondersi, ma ormai non le importava più nulla di ciò che sarebbe accaduto dopo. Contava solo quell'attimo e nient'altro, e lei voleva assaporare quel momento perfetto, in cui Jason la guardava come se lei potesse davvero essere importante.
-Sai- il ragazzo interruppe il silenzio, la voce velata da quello che sembrava imbarazzo, ma che si fece più sicura man mano che parlava - quella cosa che mi hai detto, penso sia vera. Non sono sole le stelle a essere capaci di risplendere. Tu, Sole, brilli più di tutte loro messe assieme-

 Tu, Sole, brilli più di tutte loro messe assieme-

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