Parte 37. Struggimento

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Sole fissava la pila di libri davanti a lei, sconsolata. Erano passati cinque giorni da quando erano arrivati a Orbitron, e ancora sembrava non ci fosse nulla di utile in quella biblioteca ricolma di vecchi volumi ingialliti. Il suo animo ribelle era furioso, e una subdola vocina nell'angolo della sua mente le sussurrava di schioccare le dita e dare fuoco a quell'irritante mucchio di carta. Sarebbe stato davvero un buon modo per scaricare la rabbia e farla scemare. Cinque giorni, e ancora non avevano fatto neppure il più piccolo passo avanti. Cinque giorni, e la sua relazione con Jason, se così si potevano chiamare i loro brevi scambi di parole e gesti goffi e imbarazzati, sembrava essere peggiorata. O meglio, era in caduta libera. Se fino a qualche giorno prima avevano scherzato e condiviso momenti da veri amici, amici pensò Sole con rammarico, ora ogni volta che Jason la incontrava abbassava gli occhi e cercava in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo. E se lei provava a intraprendere anche la più banale delle conversazioni, lui cercava di essere il più evasivo possibile, o le rispondeva in modo un po' troppo brusco, si chiudeva a riccio in una maniera che Sole non gli aveva mai visto addosso prima. Sembrava diverso, una versione triste e cupa del Jason che aveva conosciuto. Diverso da quello che le aveva chiesto la data del suo compleanno, aveva giocato con lei nel lago e che, ricordò Sole arrossendo, lei aveva inavvertitamente baciato. Sulla guancia, si intende, ma era pur sempre un bacio. E meno di nove ore dopo lui le aveva messo i capelli dietro alle orecchie, sfiorandole la guancia come se le stesse facendo un carezza. Doveva pur significare qualcosa, no? No, non significava niente. Probabilmente erano solo amici. Quali amici non si danno carezze sulla guancia o si scambiano il bacio della buonanotte? Sole si prese la testa tra le mani, affranta. Dai suoi gesti sconsiderati e vergognosi, e dal fatto che ora Jason sembrasse odiarla. No, non è vero. Non era tanto che la odiasse, ma ogni volta che la guardava Sole riusciva a scorgere un velo di tristezza attraversarli fugacemente il viso, e lei si sentiva terribilmente in colpa per questo. Ma la cosa che la faceva sentire peggio, era che non capiva in che cosa avesse sbagliato. Si era comportata esattamente come al solito. Certo, un po' più nervosa e impacciata, ma comunque aveva mantenuto lo stesso atteggiamento di sempre. Solare, divertente e genuina, proprio nel modo che tutti gli altri sembravano adorare. Tutti, tranne Jason. Perché, nonostante i suoi sorrisi e le sue parole dolci, non era riuscita a farsi piacere da lui.
La ragazza avrebbe pianto volentieri, ma sono i deboli a piangere. Lei era forte, coraggiosa, e fantastica. O meglio, era quello che gli avevano sempre detto gli altri. Perché Sole non si era mai sentita meno fantastica che come in quel momento. Si sentiva molte altre cosa, un' illusa, per esempio, e anche una sciocca, per essersi abbandonata ai desideri insensati del suo cuore. Ma di certo non pensava di essere fantastica.
Scosse la testa, infastidita e rassegnata. Non era da lei struggersi per qualcuno, men che meno per un ragazzo che conosceva da pocho più di una settimana. Avrebbe tanto voluto somigliare di più a Luna. La sorella, almeno, riusciva ad affrontare la maggior parte delle cose in modo scientifico e razionale, senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Qualche volta, Sole la invidiava davvero. Scacciò quei tristi pensieri dalla testa, e fu come cercare di ingoiare una cucchiaiata del più disgustoso degli sciroppi.
Si alzò, andando a cercare un altro noioso libro per passare il tempo. Aveva ormai capito che tutte quelle ricerche erano davvero inutili. Si avvicinò agli alti scaffali. Osservo qualche titolo con scarsa attenzione, finché un rumore alle sue spalle non la fece sobbalzare. Si girò di scatto, trovando Jason che si accingeva a raccogliere un grosso libro malandato da terra. Istintivamente il suo cuore si riempì di gioia, prima di ricordarsi i tristi aggiornamenti della loro relazione negli ultimi tre giorni. Il ragazzo stava allungando una mano verso il volume, ma Sole fu più veloce, appoggiando la scarpa sulla copertina, e costringendolo a sollevare lo sguardo, seppur riluttante. La ragazza avrebbe voluto lanciare un grido di trionfo, ma si trattenne. Cercando di sfoggiare il suo sorriso più disinvolto e sincero possibile, chiese:-Trovato qualcosa?-
-Ovviamente nulla- rispose il ragazzo, cercando di recuperare il libro da sotto il suo piede. Lei lo spostò un po' più lontano. Finalmente Jason si alzò, guardandola con espressione indecifrabile. Aveva come sempre i capelli scarmigliati, e la ragazza lo trovò adorabile, suo malgrado.
-Sai- cominciò lei, solo per cercare di passare qualche momento con lui -penso che una volta usciti da questo casino studierò lingue in qualche prestigioso liceo americano e racconterò al mondo delle nostre avventure, e chissà, magari potrei anche scrivere un libro...- fantasticava.
-Senti, Sole, dovremmo concentrarci su cose più importanti, in questo momento- disse Jason. La ragazza lo guardò dispiaciuta.
-Perché fai così?- gli chiese, mentre il sorriso svaniva dalle sue labbra.
-Così come?-
-Così, come fai adesso-
-Sono solo me stesso- il ragazzo si strinse nelle spalle.
-Non è vero, questo non sei tu-
-Sì, invece-
-No, invece-
-E invece sì, Sole, penso che ti stia immaginando tutto-
-Non è vero- ribatté Sole spazientita.
-É vero-
-No, sei tu che sei strano, senza motivo-
Jason le lanciò un'occhiataccia, e fu come una coltellata nel petto per Sole, che sussulto'. Doveva capire cosa c'era che non andava, in quell'esatto istante. Cercò di collegarsi ai suo pensieri perché, nonostante avesse paura di ciò che avrebbe potuto trovare, aveva un bisogno irresistibile di trovare ciò che non andava in cielo. O quello che stava sbagliando lei. Ma, nonostante si sforzasse al massimo, la mente di Jason era circondata da una fitta nebbia gricia. Riusciva però a cogliere tristezza, dolore e nostalgia, e qualcos'altro, rosso e pulsante, che cercava di essere represso in tutti i modi. Quelle emozioni la schiaffeggiarono, facendola tentennare.
-Mi stai leggendo nel pensiero?- chiese Jason.
-Affatto- mentì lei.
-Non serve a nulla negarlo, fa parte della tua natura, credo-
Perché Jason cercava in tutti i modi possibili di evitarla?
-Ma non l'ho fatto - insistette lei.
-Fidati, non sei brava a mentire- il ragazzo sorrise debolmente, ma era un sorriso spento, rotto -quando menti, sgrani gli occhi come se qualcuno ti avesse colta in flagrante nell'atto di infrangere qualche regola- scuoteva la testa.
-Io...non...- Sole si trovava messa all'angolo, e sentì un groppo in gola -io voglio solo aiutarti- disse lei con voce rotta.
-Vuoi davvero aiutarmi?- Jason la guardava, ma qualcosa si era incrinato nei suoi magnifici occhi color cioccolato. Le ultime parole che pronunciò erano appena sussurate, ma arrivarono alla sua testa come fossero urlate, boati assordanti che la scuotevano da dentro.
-Allora non provare mai più a leggere i mie pensieri, perché non ti piacerebbe quello che potresti trovare- si interruppe.
-Ti prego- aggiunse con voce implorante. E se ne andò, mentre la ragazza sentiva le ginocchia tremare e la testa che pulsava.
La lasciò Sola, in piedi come una perfetta idiota, a fissare la sua schiena che si allontanava, mentre lacrime calde le bagnavano le guance e il cuore si frantumava in mille pezzi di vetro. Forse aveva frainteso completamente la loro amicizia? Cos'aveva sbagliato di così importante?
Avrebbe voluto richiamare Jason, pregandolo di tornare indietro, ma i singhiozzi violenti le impedivano di parlare.
Aveva rovinato tutto, ancora una volta.

Aveva rovinato tutto, ancora una volta

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