Sole e Luna, due gemelle che più diverse non si può. Una estroversa e luminosa come una fiamma danzante, l'altra timida e a tratti gelida e tagliente. A unirle Vy, lo loro sorellina minore, l'innocenza fatta persona. La loro vita è normale e monoton...
Alabaster se ne stava stravaccato sul trono, le dita che tamburellavano ritmicamente sul bracciolo di pietra. In una mano, la sfera di cristallo risplendeva, la sottile nebbiolina al suo interno che si andava lentamente a coagulare in immagini concrete. Le tre insulse ragazzine, insieme ai loro insulsi animaletti da compagnia e al loro insulso compagno, che tentavano inutilmente di ostacolarlo, erano appena arrivate ad Orbitron con una sciocca barca di carta. Erano così piccole, indifese, così prive di qualsiasi possibilità di riuscita da essere terribilmente divertenti. Alabaster sorrise, un sorriso demoniaco, che si trasformò presto in una risata agghiacciante, la mascella che schiocchiava, un suono peggiore del gracchiare di un corvo. Ma, presto, l'improvvisa felicità del sovrano se ne andò. C'era qualcosa, in quell'immagine tanto perfetta, un dettaglio sconcertante in quel patetico quadretto, che non andava. Il sorriso di Alabaster si spense. Una chioma candida dai riflessi azzurrini spiccava in mezzo alle altre. Due occhi azzurro ghiaccio fissavano bramosi la ragazza dai capelli corvini che stava parlando. Il cacciatore di stelle, il suo cacciatore, il suo servo più fidato, era lì, a perdere il suo prezioso tempo con il nemico. Gli aveva ordinato di ucciderli , non era importante come, eppure erano ancora lì, vivi e vegeti, a intralciare fastidiosamente il suo piano, come mosche fastidiose su un piatto di biscotti. Come aveva osato Altair disubbidirgli? Come poteva un cacciatore come lui, seminatore di oscurità e speranze infrante, di sogni lacerati e anime spezzate, non essere riuscito ad eseguire un compito tanto semplice? Forse era stata l'inferiorità numerica a spaventarlo? No, il cacciatore di stelle non aveva un cuore, così come non provava alcun sentimento, men che meno la paura. In ogni caso, Alabaster non si preoccupó più di tanto. Sentiva che la fine era vicina, che presto i suoi poteri sarebbero stati forti a sufficienza da controllare l'intero universo. Mancavano solo le ultime piccole, minuscole stelle... Avrebbe lasciato giocare Altair con le sue prede, avrebbe lasciato vagare le Ombre per movimentare un po' l'avventura di quei mortali, e poi li avrebbe uccisi lui stesso, tra atroci sofferenze... Si sentiva come un dio, anzi, persino più potente, in grado di cambiare il corso degli eventi muovendo un solo dito. Allo stesso tempo però, sapeva che i suoi poteri non sarebbero durati in eterno. Li sentiva fluire via, un fiume scrosciante e insistente, una paranoia che ormai lo tormentava giorno e notte. L'unico aspetto negativo della sua altrimenti invincibile ascesa. Perché Alabaster, nonostante non volesse ammetterlo, era tenuto sotto scacco, seppur involontariamente, dal suo più fidato servitore. Perché il sovrano, nonostante odiasse ripeterserlo e cercasse continuamente di affermare il contrario, nonostante la sua forza, la sua potenza, non poteva fare nulla, senza il suo cacciatore di stelle.
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