Parte 16. Immagini

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Quanto dura esattamente una vita? Esiste davvero il per sempre? Erano queste le domande che Luna si domandava, mentre veniva risucchiata in quel vortice buio dipinto di viola. Galleggió nel buco per minuti, ore, o forse per giorni mesi o anni? Non avrebbe saputo dirlo. L'unica certezza che aveva era che ormai era lì dentro da molto tempo, da sola. Le sorelle, Pan, Starly e Jason non si vedevano da nessuna parte, sempre che quello si potesse definire luogo. Fu trascinata così a lungo che i ricordi divennero confusi, i volti amici macchie di colore informi. Tuttavia, non sentiva fame, sete o freddo, solo un grande vuoto al livello del petto, quasi il suo cuore, la sua anima, non l'avesse seguita fin lì, ma l'avesse aspettata a debita distanza dal buco nero, lontana dal pericolo. Mentre cadeva, ogni cosa intorno a lei era trasfigurata, aveva perso ogni logica di grandezza. Vedeva granelli di polvere grandi come case, piogge di minuscole sedie, ma soprattutto centinaia di strisce colorate che formavano vortici ipnotici e nauseanti. Luna preferiva di gran lunga il buio. La luce nei sui occhi, i colori sgargianti accecanti la facevano impazzire di panico. Provò ad urlare, ma dalla bocca non le uscì alcun suono. Venne assalita dall'ansia, e intorno a lei i vortici divennero all'improvviso frenetici, correndo veloci su ondeggianti pareti invisibili. Poi, come tutto era iniziato finì, e la ragazza si ritrovò ad ansimare in una stanza quadrata. Non c'erano porta o finestre, ma ogni parete era dipinta a scacchiera, i triangoli che si formavano verdi, rosa, blu e arancione. Il forte contrasto tra i colori e la luce grigiastra che iluminava la sala creava non poco stordimento. Soprattutto, le venne presto un penoso senso di claustrofobia, che la schiacciava a terra, facendole mancare l'aria nei polmoni. Mosse qualche passo incerto, barcollante, decisa a trovare al più presto una via d'uscita, ammesso che ci fosse, un'uscita, e scappare al più presto da quella che sembrava essere la sua prigione variopinta. Improvvisamente tutto divenne buio, e luci da palcoscenico cominciarono a girare freneticamente, facendole girare la testa. Spaventata, cercò di appiattirsi contro il muro, ma questo al posto di avvicinarsi diventava sempre più lontano, i quadrati sotto di le si ingrandivano a dismisura, i riflettori continuavano a vorticare, mossi da mani invisibili, e Luna rimpiccioliva, sempre più velocemente, finché non si ritrovò in una seconda stanza. Nella semioscurità, poté intravedere una stanza molto lunga, decorata con geometrie nere, bianche, blu e arancioni. Alte a larghe colonne circolari si ergevano ai lati della stanza. Non si sarebbe potuto dire dove arrivavano, perché il soffitto era completamente immerso nel buio. Ma la cosa più sconcertante erano le centinaia di manichini, di quelli che si usano per disegnare, ammonticchiati in alltissime pile di cui non si vedeva la fine. Appena se ne rese conto, Luna sentì il cuore batterle forte. Avrebbe voluto urlare, ma non ci riuscì. Così rimase immobile, inorridita, anche quando uno degli inquietanti manichini si alzò, le giunture di legno che scricchiolavano, e lentamente si diresse verso di lei. Uno scricchiolio, un passo. Il cuore di Luna batteva all'impazzata. La figura sinistra la spaventava, quel volto liscio e inespressivo faceva apparire completamente insensato il fatto di provare emozioni. Eppure doveva essere vivo, altrimenti perché si muoveva? Un altro passo barcollante. La lentezza con la quale proseguiva era disarmante. Forse era un robot, una automa, un giocattolo a molla. No, a parte il cigolio che produceva la camminata, il silenzio nella stanza era assordante. Avrebbe dovuto sentire il rumore di ingranaggi che si muovevano, cavi che sfrigolavano, e invece niente. Quindi era vivo. Ma che senso aveva vivere senza essere felici, tristi, arrabbiati, innamorati? Quella non era vita, no? Forse però, qualcosa il manichino provava. Lo si poteva capire, dall'inclinazione della testa, che esprimeva curiosità per l'ospite inattesa, e dall'andatura strascicata, quasi fosse fatto di rassegnazione. Nonostante il terrore cieco, Luna provò quasi compassione per quella misteriosa creatura. Quando quest'ultima la raggiunse, la ragazza si tranquillizzò un poco. Non sembrava avere cattive intenzioni. Il manichino fece cenno di seguirlo, poi cominciò a percorrere la stanza a passo spedito, tanto che Luna arrancò per stargli dietro. I cumuli ai lati gettavano ombre sinistre sulle pareti, facendola rabbrividire. Si affrettò dietro al suo accompagnatore.
-Che ci faccio qui? Che posto è mai questo? Sai dove si trovano le mie sorelle?-
Per tutto risposta, il manichino indicò una striscia di muro, libera da colonne o cataste. Un'immagine, come proiettata, apparve. C'erano tutti quanti, tranne lei, tenuti in una sala dipinta di un rosa nauseante, imprigionati in una gabbia dorata, di guelle rotonde per gli uccelli. Sembaravano terrorizzati.A guardarli, dando la schiena alla ragazza, una figura minuta vestita come una principessina di carnevale, con nastri e balze bianco e rosa, forse una bambina, che rideva, una risata sguaiata e spaventosa. L'immagine sul muro sparì, ma rimase impressa a fuoco nella memoria della ragazza. Doveva trovare Jason, Vy, Sole e Pantu al più presto. Quando finalmente giunsero alla fine, si trovarono davanti a una grande porta nera come la pece, senza maniglia. Si aprì, senza emettere alcun suono, mostrando un altra sala, fatta interamente da carte, grandi come finestre : due di picche, tre di cuori, assi di cuori, le uniche figure inesistenti erano quelle raffiguranti persone. Quando Luna entró, la porta si richiuse alle sue spalle, svanendo, e un vento impetuoso cominciò a soffiare, sollevandola quasi da terra. Ben presto le carte, che costituivano pavimento e pareti si staccarono, e si unirono in un vortice fatto di fruscii assordanti. La ragazza si trovava lì dentro, trascinata in un movimento circolare, gli occhi spalancati e le mani sulle orecchie, raggomitolata per proteggersi dagli urti. La ferita alla spalla bruciava, ma Luna era completamente lucida. Doveva trovare un modo per uscire di lì. Doveva aiutare il suo gruppo. Aveva capito che quel luogo non era come la piramide, dove ogni tranello ha una soluzione, ma un posto creato solamente per disorientare e spaventare. Ma c'è sempre una soluzione. O, almeno, era quello che credeva. Tra gli spazi lasciati dalle carte poteva vedere il buio all'esterno,quasi adesso in quello strano mondo non esistessero che lei e quel vortice di carte. Si scervelló, pensando a tutte le possibilità a sua disposizione, ma non le venne in mente nulla. I suoi poteri lì dentro non funzionavano, la sua logica era inutile. In pratica, non poteva fare niente. Decise di rimanere lì, inerme o quasi, le ginocchia strette al petto, sbatacchiata da una parte all'altra del tornado. Appena compì la scelta, tutto sparì, e dopo qualche attimo di buio e numerosi sbattiti di palpebre finalmente riuscì a capire dove si trovava. Ciò che vide la lasciò senza fiato, no avrebbe saputo dire se dalla paura o dalla meraviglia. Forse, da entrambi.

 Forse, da entrambi

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