Capitolo Quindici

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Zayn

Non pensavo che sarei più riuscito ad essere felice a Charleston.

Ogni volta che mi capitava di pensarci in passato, non facevo altro che ritornare con la mente ai momenti peggiori della mia vita e, anche solo davanti all'idea di ritornarci, per me diventava difficile per fino respirare.

Gli ultimi giorni passati qui, invece, mi hanno dimostrato che mi sbagliavo ed è soltanto grazie ad Alissa e Aurora, che mi hanno fatto risentire come non mi sentivo da anni.

Spensierato e felice.

Le cose con Aurora vanno a gonfie vele, stiamo legando moltissimo e ho scoperto tantissimi piccoli dettagli di lei che mi hanno fatto innamorare ancora di più tramite un gioco che abbiamo inventato qualche giorno fa. Ad ogni domanda che io ho per lei, lei ne può fare una a me e viceversa. Dovevano essere soltanto venti, ma ci siamo fatti prendere la mano e non abbiamo più smesso. Io adoro poter aggiungere ogni giorno un tassello in più al meraviglioso e intricato puzzle che è mia figlia e lei è una curiosona che adora farsi i fatti miei. Con questo gioco vinciamo entrambi.

Con Alissa, invece, è tutta un'altra storia. Ogni volta che io e Aurora ci vediamo c'è anche lei perché non se la sente ancora di lasciarci soli ed io la capisco. Anzi, la penso esattamente come lei, perché non sono pronto a rimanere solo con Aurora. Sarò anche un padre, ma non so ancora abbastanza cose su come si educano e accudiscono i bambini, sono ancora ben lontano dall'essere un papà e accetto che tutti e tre andiamo coi piedi di piombo per abituarci alla nostra nuova realtà. Tutti insieme.

Per questo non dico nulla quando vedo lo sguardo triste e leggermente frustrato di Alissa, che vorrebbe essere in qualsiasi altro posto tranne che nelle mie vicinanze. Perché l'ho capito che starmi vicino la fa soffrire, eppure lei che non è soltanto una madre, ma è anche una bravissima mamma, mette sempre Aurora al primo posto e per lei sopporta di avermi sempre attorno. Ma io non mi arrendo, farò di tutto affinché quello sguardo triste e stanco venga sostituito da quello innamorato e fiero che aveva fino a qualche anno fa ogni volta che mi guardava. Ci siamo persi per un'ignobile fatalità e io non permetterò che succeda di nuovo, ora che la vita mi sta dando una seconda chance.

"Sei stanca, scricciolo?" chiedo ad Aurora che sta cercando di lottare contro il sonno con le unghie e coi denti mentre continuiamo a farci una valanga di domande l'uno dopo l'altra, sul divano di casa sua.

È esausta, dopo il pomeriggio passato a giocare a football insieme e a dire il vero lo sono anche io, perciò lo capirei se volesse andare a dormire, ma lei non molla e scuote la testa.

"Mh... No, voglio... Voglio che mi dici qualcos'altro di te che nessun altro tuo fan sa" sussurra sbadigliando. Io sorrido a quell'immagine dolcissima e me la metto addosso per poi cingere il suo esile corpicino, che praticamente scompare tra le mie braccia.

"Va bene, ma solo qualche altra domanda e poi andrai a letto, okay?"

"Quando ti sei fatto il primo tatuaggio?" domanda facendo correre le sue piccole dita lungo le mie braccia, seguita da una scia di brividi. Sarà la milionesima volta che mi sfiora, eppure ancora non mi sono abituato al suo tocco timido e delicato. È come un balsamo per tutte le ferite invisibili che la vita mi ha inferto negli anni. È come se, ogni volta che lei mi sfiora, ogni cosa passasse in secondo piano ed io mi sentissi come se non mi servisse nient'altro per il resto della vita.

"Avevo diciassette anni" sussurro mentre ritorno indietro con la mente a quel giorno, in quello studio dove, con la mano stretta in quella di Alissa, mi facevo marchiare la pelle cercando in qualche modo di esorcizzare un dolore che, però, non sapevo sarebbe rimasto con me per sempre. A prescindere da tutti quelli che sarebbero venuti dopo.

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