Capitolo Settantadue

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Alissa

Le ultime due settimane sono state le più frenetiche e allo stesso tempo infernali degli ultimi mesi.

Zayn è sempre più impegnato a causa dell'avvicinarsi del Super Bowl e non abbiamo più avuto modo di rivederci, dopo Chicago.

Ritornare alla mia vita di Charleston è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto, probabilmente. Non solo perché l'idea di dover salutare Zayn e ripartire mi ha fatto più male del solito questa volta, ma anche perché ora tutto è cambiato.

Adesso tutto il mondo sa di noi.

Non c'è una rivista in cui non siano state schiaffate delle nostre foto in prima pagina o un social in cui non si è parlato della nuova conquista del quarterback dei Bears. I primi giorni a Charleston, separata da Zayn e in preda alle mie insicurezze dovute a tutti quei commenti assurdi di persone che nemmeno mi conoscono, eppure si sentono in dovere di giudicarmi, sono stati una vera e propria tortura. A metà della prima settimana ho iniziato a perdere definitivamente il controllo di me stessa e sono arrivata addirittura ad immaginare di vedere paparazzi o giornalisti in qualsiasi posto io andassi.

Zayn, nonostante la distanza, è stato la mia ancora in quei momenti. Ha risposto ad ogni mia chiamata in preda al panico e mi ha tranquillizzata come solo lui sa fare, rassicurandomi sul fatto che avrebbe tenuto sia me che Aurora fuori dal radar della stampa. Ho apprezzato tanto il tempo che mi ha dedicato per starmi accanto, nonostante abbia dovuto fare i salti mortali per riuscire a destreggiarsi tra il football e la nostra famiglia e, se possibile, questo ha fatto sì che mi mancasse ancora di più. Anzi, che ci mancasse, perché sia ia io che Rory non ne possiamo più di questa distanza. E in pratica, stiamo contando i giorni che mancano al prossimo weekend come se stessimo aspettando Natale. Spero solo che, quando finalmente sarà qui, questo terribile virus che ci siamo prese — prima Rory, poi ovviamente anche io — mi sia passato e che ci potremo godere un paio di giorni tutti per noi, senza nessun problema di mezzo.

Quando Zayn ci ha chiamate la prima sera in cui eravamo entrambe a letto con la febbre l'ho visto entrare per la prima volta in totale modalità papà orso. È stato molto dolce vederlo così preoccupato, ma soprattutto pronto a lasciare tutto per venire ad accudirci. E mi sarebbe piaciuto parecchio, a dire il vero, ma alla fine l'ho convinto a starsene a Chicago, al sicuro da questo virus tremendo che lo avrebbe senza dubbio rallentato con gli allenamenti.

"Mamma! Dormi?"

La voce di Rory spezza il silenzio avvertendomi che i suoi nonni devono averla riportata a casa dall'asilo, come hanno fatto per gli ultimi due giorni. Lei si è ammalata prima di me e, di conseguenza, è anche guarita prima. Io, invece, non mi sono ancora ripresa del tutto e loro non hanno voluto sentire ragioni. Mia madre, in particolare, ha ricominciato a trattarmi come fossi una bambina e mi ha impedito di uscire dal letto finché non fossi completamente guarita, nonostante ormai non abbia più nemmeno una linea di febbre.

Il lato positivo di tutto ciò è che non ho mai avuto così tanto tempo libero per me da quando Rory è nata. Ho praticamente divorato uno scaffale intero di libri mai letti, finito una serie tv che avevo a metà da mesi e pensato e ripensato alla proposta che Zayn mi ha fatto a Chicago. Inutile dire che con l'aumentare dei giorni passati lontani l'uno dall'altra mi è sembrata una proposta sempre più allettante.

"Liss, che spavento!" borbotta mia madre aprendo la porta della mia stanza. "Perché non ci hai risposto? Pensavamo stessi male"

"Scusate, ero soprappensiero" sussurro allargando le braccia per fare spazio a Rory che si sta già arrampicando sul mio letto. "E comunque sto bene, mamma, te l'ho già detto mille volte"

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