Capitolo Ventinove

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Alissa

Mal di testa.

È questa la prima cosa strana che noto appena apro gli occhi. E no, non è un mal di testa come tutti gli altri.

È un mal di testa epocale, cazzo.

Sbuffo quando i ricordi della la serata orrenda di ieri che poi è tramutata in un piccolo party solo donne a casa mia riaffiorano pian piano nella mente.

Non sono più abituata a bere così tanto alcol ed è soltanto colpa delle ragazze se ho esagerato in quel modo. O merito, dipende dai punti di vista, perché forse lasciarmi andare per una sera era proprio ciò che mi serviva. Anche se ora ciò che resta di quella serata è soltanto un mal di testa contro cui combattere per riuscire a rimettere in piedi il mio corpo ed andare a prendere Aurora.

Tra i ricordi sfocati di ieri sera, sono quasi sicura di aver fatto mandare un messaggio ai miei genitori da Victoria che diceva che non sarei riuscita ad andare a riprenderla per la notte.

Controllo il cellulare per vedere se ricordo bene e, effettivamente, trovo il messaggio. Tiro un sospiro di sollievo all'idea di essere stata previdente anche da sbronza ed aver evitato uno stress inutile a mia figlia per paura di essere stata abbandonata anche da me.

Con la consapevolezza che sarà una giornata di merda, perché il mal di testa post sbornia è sempre stato il mio peggior nemico, mi alzo dal letto, decisa ad andare subito da lei. Quando lo faccio, però, noto che c'è anche un'altra cosa strana.

Non indosso le mutande.

Aggrotto le sopracciglia confusa e osservo il mio abbigliamento: ho soltanto una semplice canottiera semitrasparente addosso.

E nient'altro.

Suppongo mi abbiano cambiata le ragazze, ma perché mai avrebbero dovuto togliermi le mutande?

Arrossisco all'idea di essermi resa ridicola in qualche modo e valuto per fino l'opzione di essermi fatta la pipì addosso, ma poi la accantono quando noto le mutande sul letto e — fortunatamente — le lenzuola prive di qualsiasi tipo di macchia.

Ancora più confusa di prima, metto in carica il cellulare e vado a farmi una doccia rigenerante. Per fortuna è sabato, ho la giornata libera da lavoro e tutto il tempo per riprendermi.

Dopo venti minuti buoni di doccia, la situazione non è migliorata poi così tanto ed io mi do mentalmente della stupida per essermi comportata come una ragazzina, quando ormai sono una donna adulta e con una figlia a carico.

Cerco di finire di lavare i capelli il più in fretta possibile per andare a provare a salvare la situazione con una bella tazza di caffè, ma quando chiudo gli occhi per sciacquarli, un flash mi balena in mente.

"Posso fartelo avere io l'orgasmo che meritavi, dopotutto è colpa mia se non l'hai avuto, no?"

E per poco non scivolo nella doccia.

Merda.

Perché queste parole mi suonano così familiari? Perché hanno la stessa pericolosa voce di Zayn? Ma soprattutto perché il mio corpo ha reagito immediatamente al ricordo liberando un intero armamento di farfalle impazzite all'interno del stomaco?

Apro gli occhi infastidita da tutto ciò e con gesti rabbiosi finisco di sciacquare i capelli, poi mi vesto e vado a prepararmi un caffè.

Anzi, due. Dopo questo inizio di giornata penoso sono più che sicura che me ne serviranno almeno due.

Una volta finito, lascio la tazza nel lavello e poi esco diretta verso casa dei miei genitori. Nel frattempo, decido di chiamare Victoria per capire che diavolo è successo ieri notte e perché io ricordo poco e niente. Ho bisogno che illumini i numerosi buchi neri che riempiono la mia memoria, possibilmente anche — e soprattutto — quello relativo alle mie mutande.

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