.48. Further Ado

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L'avrebbe ricordata come la notte più lunga della sua vita

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L'avrebbe ricordata come la notte più lunga della sua vita. La violenza del marito era stata continua, l'aveva resa insensibile. Cosa aveva pensato di sé stessa? Di avere la stessa consistenza del cuoio, che la sua pelle s'era indurita, continuava a immaginarsi in quei termini, s'era inspessita e così la sua anima. Se tra le braccia di Magnus Leroy si era fatta argilla e le sue pieghe nascoste si erano ammorbidite, allargate e infine avevano accolto l'invasione del corpo gentile dell'amante, non avevano fatto lo stesso con quello del marito, la sua carne aveva resistito, l'aveva respinto, la sua superficie si era fatta compatta, inviolabile. Era stato l'unico pensiero che l'aveva tenuta a galla in mezzo a quelle lenzuola gonfie, in quel letto che cigolava, urlava anche lui.

Aveva avuto infine, anche se in maniera crudele, la risposta che cercava; no. Non tutti gli uomini erano uguali, non con tutti si sarebbe sentita come con Magnus Leroy. E il pensiero fece così male che preferì ricacciarlo lontano. Alla vendetta che lui si era preso su di lei, invece, a questo aveva pensato tutto il tempo. Il marito non le aveva più rivolto la parola, non in maniera consueta. L'aveva apostrofata con nomignoli terribili durante la sevizia, l'aveva chiamata puttana, vacca e altri epiteti che l'avevano fatta rabbrividire.

Si era considerato uno sciocco per averle dato fiducia. Ma nessuno poteva cancellare dalla mente della duchessa che fosse almeno un po' compiaciuto di quel dominio, di essersi sbarazzato di quello che lui chiamava amore, di un sentimento scomodo, di subalternità. Ora era ritornato in testa, ora prendeva quello che voleva senza nessuna remora, forte del fatto che un corpo di donna usato valesse ben poco. Per il marito l'amore era rimasto intatto finché era rimasto intatto l'imene, aveva identificato la sua purezza con una parte precisa e il rispetto le era stato strappato via da subito, come se quella concessione non riguardasse tanto la duchessa in quanto essere umano, ma piuttosto una sua fragilissima parte anatomica.

Ad un certo punto il duca l'aveva lasciata sola, era mattino, la pallida luce del giorno l'aveva un po' rasserenata. Si era tirata su immobile e tremante, aveva afferrato le lenzuola e se le era strette al seno, sentiva freddo, le sembrava che in quel periodo dell'anno il clima si rincorresse in maniera scomposta, che ci fosse una guerriglia silenziosa su chi dovesse infine prevalere, non aveva dubbi la duchessa, il freddo prima o poi avrebbe avuto la meglio.

Pauline era entrata velocemente seguita da Mary che avanzava a testa bassa. Subito la duchessa, per un moto automatico, si spinse indietro verso la testiera in legno e sbarrò gli occhi. Parlò Pauline, Mary si nascondeva dietro di lei.

<<Ho chiesto a Elsa di procurarmi del sangue animale, abbiamo sentito tutto, la dama da cui era a servizio prima di voi se ne è servita con successo.>>

Parlò a voce bassa, come se si fosse trovata a cospetto di un fenomeno sacro, era strano per Pauline che aveva i modi spiccioli di una donna pratica delle faccende del mondo. Pauline si guardò finalmente intorno, Mary venne avanti.

<<State bene?>>

Le chiese la sguattera ricacciando indietro le lacrime. Come poteva spiegarle lo sconforto che la vista della duchessa ridotta in quel modo le procurava, come spiegare quel sentimento strano che sentiva nel petto che il mondo degli uomini era crudele, che seppure aveva piegato lei che era una duchessa nessuna di loro avrebbe avuto scampo? Non disse niente di tutto questo, tentò solo, attraverso quella semplice frase, di comunicarle chiaramente la sua adesione, la sua partecipazione alla situazione in cui si era venuta a trovare.

Pauline aprì quello che aveva in mano, un fagotto bianco macchiato di rosso, venne avanti con quello tra le braccia e la faccia serissima.

La duchessa scosse la testa.

<<È troppo tardi Pauline, è troppo tardi.>>

La voce uscì un po' rotta, questo fece grandissima impressione alle due serve. Ma non come quello che seguì, la duchessa scostò il lenzuolo con cui si era coperta rivelando, anche là sotto, la prova che il duca era riuscito senza inganni ad ottenere quello che voleva. Pauline scosse la testa, unì le sopracciglia guardando quello che la duchessa, senza pudicizia, le mostrava.

Mary portò una mano sulla bocca.

<<Allora perché è stato così crudele con voi? Non capisco!>>

Disse soffocando un po' le parole, in fondo il duca si era preso anche lei e poi era stato molto gentile, non si era comportato in quel modo spaventoso.

<<Perché per un po', a causa mia, si è sentito un uomo come tutti, soggetto ai manrovesci del destino, e non è tipo da prendere bene un contrattempo.>>

Non conosceva a fondo il marito, ma che l'amore col suo atteggiamento c'entrasse poco l'aveva capito bene. La sua era la furia di chi non aveva ottenuto subito quello che voleva, di chi si era sentito un perdente.

Quando udirono chiari i suoi passi per le scale, Mary e Pauline abbassarono il capo, scusandosi, e sparirono dalla sua vista lasciandole le lenzuola inutilmente sporcate.

<<Alzati, stiamo uscendo.>>

Le comunicò il marito guardandola appena.

<<Faccio chiamare la mia cameriera.>>

Rispose automaticamente la duchessa.

<<E perché mai? Il tuo amante non ti ha già vista discinta? Verrai così come sei, ho fatto preparare dell'acqua, sciacquati, poi indosserai la camiciola.>>

<<Non ha senso? Che vuoi fare, che senso ha farmi uscire senza niente addosso? Vuoi ancora umiliarmi?>>

<<Voglio farti sentire quello che si prova e voglio che te ne vai in giro come quella che sei davvero, con l'anima al rovescio, voglio che gli altri sappiano e vedano quello che ho saputo e ho visto io. >>

La duchessa fece come lui aveva detto, si lasciò trascinare per la casa con una veste trasparente.

<<Tutta Londra parlerà di voi domani!>>

Gli sussurrò tentando di farlo ragionare.

<<Ti sbagli mia cara, tutta Londra parlerà di te, non di me, domani. E se non altro il mio esempio potrebbe essere utile a qualche sciocco uomo com'ero io prima, quando vi credevo diversa.>>

<<Sono sempre io!>>

Ma dallo sguardo che il marito le riservò mentre la trascinava giù dalle scale, dal modo in cui i lineamenti duri di Tyrell si tesero quando la intercettò, capì che chiunque fosse stata la duchessa di Raven fino al giorno prima, ora quell'immagine non le apparteneva più e doveva lasciarla andare.

Tyrell abbassò la testa.

<<Posso portare un soprabito per vostra grazia?>>

Tentò inutilmente.

<<No, Tyrell, mia moglie non ha più nulla che valga la pena conservare.>>

Sentiva un dolore fisso e sordo mentre il marito la trascinava, si irradiava sulla schiena, sul ventre, sulle gambe, le ricordava che era presente, viva, nonostante i tentativi del marito di cancellarla.

Non aveva voluto neppure che mettesse le scarpe.

Ora che i sassetti le si conficcavano nei piedi camminava con malagrazia, alzandone ora uno ora l'altro per trovare un pò di sollievo, tanto che non si accorse subito che Magnus Leroy era davanti a lei e non era solo. La cameriera della contessa di Winthorpe, come si chiamava? Lisa, si, era quasi sicura si chiamasse in quel modo, la guardava con curiosità. Mentre la duchessa era quasi nuda, Lisa era invece vestita a festa, aveva addirittura in testa un grazioso cappellino con un enorme fiocco. Era lei la sua fidanzata, lo capì dal modo in cui lo strinse, tutto quello che il duca non era riuscito a lacerare e frantumare fino a quel momento, balzò giù senza controllo e si ruppe definitivamente sotto ai suoi piedi, sui sassi, si perse infine sulla rena rossa, dove in un giorno di sole anche il sangue di Magnus Leroy si era mischiato alla terra.

LA DUCHESSA DI RAVENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora