.19. Green Dome

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 Il forte odore di vegetazione la investì non appena ebbe aperto la pesante porta con gli intarsi di ferro battuto

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Il forte odore di vegetazione la investì non appena ebbe aperto la pesante porta con gli intarsi di ferro battuto. Lady Sanders era famosa per la cura che riservava ai fiori, la duchessa di Raven aveva pensato che potesse dipendere dal fatto che non aveva avuto figli, che suo marito era spesso assente e quindi tutto il suo istinto materno finiva lì, in mezzo alla terra umida e a quei boccioli fragili o a quelle piante enormi e esotiche che faceva arrivare dal nuovo mondo e di cui le aveva spesso parlato con civettuolo orgoglio.

Quello che la colpì però, non fu tanto la presenza di una vegetazione estranea, fu l'idea che mentre fuori stava già iniziando la tempesta di neve, là dentro sembrasse tutto tanto lontano e indifferente, eppure non si trattava che di qualche passo di raccordo tra l'esterno e l'interno. Il rumore dei primi fulmini che si rinfrangevano contro i vetri, incastrati come grossi diamanti bianchi tra il ferro verde del tetto della cupola e dell'intera struttura della serra, la fece sobbalzare. Si portò una mano al collo col cuore in gola, nel silenzio di quel giardino artificiale sentiva benissimo il suono affannato del suo respiro, uno sbuffo nervoso.

Doveva essere impazzita, con che faccia sarebbe tornata indietro? Cosa avrebbero pensato Edmund e lady Sanders di quel suo colpo di testa?
Sapeva cosa si sarebbero detti, che il passato non era riuscito a farle da monito, che non aveva imparato niente dai suoi errori.

Fu allora che sentì i colpi furiosi contro il tronco di un albero non troppo alto di cui i rami, che costituivano i due terzi della pianta, si intrecciavano tra loro e si allargavano tutto intorno in un modo che la colpì, non aveva mai visto niente di simile e ci intuì qualcosa in quel fitto e vasto intreccio, qualcosa che non ebbe il tempo di definire come avrebbe voluto perché il bisogno di fermare quei colpi divenne la sua priorità.

La impressionò la violenza con cui Magnus si scagliava contro l'innocente corteccia, l'addolorò vedere le sue mani scheggiate, rovinate.

Le sue belle mani da gentiluomo, che buffo che fosse proprio lei a rammaricarsi di un dettaglio che si era sempre rifiutata di ammirare apertamente. Le sue mani, la sua eleganza, il modo in cui le muoveva mentre parlava, in cui l'aveva toccata in passato e anche di recente.

Si avventò contro di lui ma Magnus rosso in viso, con la vena in evidenza e i bei denti digrignati le rivolse uno sguardo di pura follia, come se la riconoscesse appena. La forza con cui l'aveva allontanata la fece sbattere contro il tronco frastagliato di un'arbusto, urlò appena ma Magnus non badava a lei, continuava a colpire e colpire ancora.

E lo stalliere, l'amante, il suo nemico, l'inventore, il marito di un'altra e infine, forse il suo amore, il suo unico, grande, perverso amore si frantumarono davanti ai suoi occhi. I mille frammenti che aveva di lui sembrarono reggere meno bene del vetro che in alto resisteva con successo ai colpi impetuosi del vento.

<<Magnus! Smettila, smettila, che vuoi fare?>> Urlò disperatamente la duchessa.

<<Si avvicina la tempesta, rimarremo bloccati qui senza cibo, dobbiamo tornare indietro.>> Tentò di nuovo.

LA DUCHESSA DI RAVENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora