.40.Guilty Moon

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Magnus Leroy non si era mai sentito così in vita sua, nemmeno quando il padre lo aveva portato nel cortile e gliene aveva date di santa ragione per via dell'orologio che aveva smontato al solo scopo di capirne il funzionamento

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Magnus Leroy non si era mai sentito così in vita sua, nemmeno quando il padre lo aveva portato nel cortile e gliene aveva date di santa ragione per via dell'orologio che aveva smontato al solo scopo di capirne il funzionamento. Ricordava le canne che si ergevano dritte e alte di fronte a lui nascondendo la campagna circostante e che ondulavano mosse dal vento quasi al ritmo sfacciato dei cazzotti che il padre gli stava dando. La cosa peggiore di tutto, però, era stato che non avrebbe potuto aggredirlo a sua volta, che dovesse assistere passivo allo svolgimento di tale violenza. Lo aveva malmenato come faceva spesso coi suoi fratelli, ma come non aveva mai fatto con lui. Era stata la prima volta e aveva giurato con sé stesso che sarebbe stata l'ultima, infatti, almeno suo padre, non l'aveva più sfiorato con un dito, aveva fatto in modo che non avesse nessun motivo per farlo, e le uniche risse a cui aveva partecipato alla taverna del diavolo, le aveva provocate lui. Ma da quando aveva incrociato la strada di quella maledetta donna, tutto era diventato un infinito girotondo di violenza. Non riusciva a uscire da lì, gli pareva di soffocare, che le mani appuntite della contessa di Winthorpe e il bastone della duchessa di Raven, gravassero su di lui con la stessa bieca insistenza.

Ma non era stato abbastanza per piegarsi ai desideri della contessa di Winthorpe, non avrebbe rovinato la duchessa perché glielo ordinava quella donna, non poteva pensare di manovrarlo fino a quel punto. O almeno era quello che aveva pensato fino a quella sera, prima che il tarlo del duca di Raven, a cui si era mostrata nuda e esposta e le sue mani sulle sue caviglie, dopo che Ginevra era stata una cosa sua in quella radura, lo avevano spinto in territori di sé stesso sconosciuti e inquietanti. Era sempre stato un uomo controllato, aveva sempre tenuto le donne a distanza, non aveva mai provato una gelosia tanto improvvisa e spaventosa.

La aveva allontanata quel pomeriggio perché il sole era troppo caldo e i suoi ragionamenti troppo poco razionali, aveva subito sentito la voglia del suo corpo così vicino, l'aveva immaginata ribelle che colpiva il vetro della finestra coi suoi piccoli palmi arrossati, si era eccitato subito. Aveva capito che non avrebbe resistito molto, che l'unico desiderio incessante che provava, era quello di portarla nella stalla, strapparle il vestito e la decenza. Avrebbe avuto un premio per questo, terre e libertà, e la donna avrebbe invece ottenuto la rovina. Succedeva davvero in casi come questi? Eppure non ne capiva il senso dopo aver condiviso il letto della contessa di Winthorpe. Ma non era parte di quel mondo, in fondo le loro regole non lo affascinavano assolutamente come invece facevano i meccanismi degli orologi e gli ingranaggi dei mulini. Tuttavia, pur essendo ignorante, di tali equilibri intuiva con estrema sicurezza, che ora lui e la duchessa, si trovavano agli opposti di una bilancia e che quanto più lui avesse ottenuto tanto di più lei avrebbe perso.

Aveva conservato Pamela, aveva letto quel romanzetto da donne tentando di capire come potesse funzionare il cervello della duchessa, come vedesse l'uomo e come concepisse sé stessa all'interno di quel mondo altamente codificato. Pamela resisteva strenuamente alla corte dell'uomo che tentava di traviarla, otteneva tutto.

LA DUCHESSA DI RAVENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora