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Lisette guardava il profilo estremamente serio di Magnus Leroy, non aveva mai conosciuto un uomo tanto impetuoso, non aveva badato al suo piacere, non l'aveva neppure guardata, né aveva voluto essere toccato da lei

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Lisette guardava il profilo estremamente serio di Magnus Leroy, non aveva mai conosciuto un uomo tanto impetuoso, non aveva badato al suo piacere, non l'aveva neppure guardata, né aveva voluto essere toccato da lei. Più volte la mano di Lisette era stata allontanata dal suo torace senza nessun motivo apparente. Magnus Leroy aveva tenuto gli occhi chiusi, era stato distante nel rincorrere il suo piacere. Ma a Lisette non interessava, sapeva quanto il sesso fosse una questione puramente organica, niente di più, niente di meno, e non aveva intenzione di infarcire la faccenda di risvolti eccessivamente sentimentali. Non si vergognava del suo corpo nudo, anzi, vedendo che Magnus dopo aver raggiunto l'orgasmo era diventato ancora più distante, inarcò la schiena per attirare la sua attenzione.

I piccoli seni appuntiti di Lisette, su cui la forza di gravità ancora non agiva, si alzarono e si abbassarono. Ma Magnus rimase nella posizione in cui era senza mostrare segni di apprezzamento. Le aveva chiesto, ad un certo punto, di fare una cosa senza senso, di mostrargli i palmi aperti delle sue mani, li aveva morsi, li aveva osservati ma subito dopo qualcosa era cambiato, le aveva gridato che era sufficiente, con forza aveva trascinato i polsi di Lisette sopra la sua testa e aveva continuato silenzioso e implacabile a prendersi quello di cui aveva bisogno.

<<Grazie, Lisette, ora vattene, ho bisogno di dormire.>>

Non era il risultato che la cameriera aveva sperato, ma si fece coraggio e nuda com'era si alzò mettendosi davanti a lui.

<<Non posso restare con voi?>>

La sicurezza di Lisette infastidì Magnus che a quel punto si girò degnandola appena della sua attenzione. Non era quello che Lisette si era immaginata avrebbe trovato in lui, pensava che come tutti gli altri uomini anche Magnus sarebbe stato remissivo e ben disposto subito dopo aver ottenuto il proprio piacere, ma così non era stato. Magnus per l'ennesima volta si impose di smetterla di fottere donne che potevano risultare impegnative, era una sua regola d'oro da sempre, solo che ultimamente si era fatto prendere la mano pur di poter avere un po' di ottundimento. I pensieri, le immagini che gli si affastellavano nella mente negli ultimi anni non gli davano tregua e gli pareva che più il tempo che lo separava dalla duchessa si estendeva e si allungava, più profonda diventasse la sua disperazione. I ricordi erano feroci, lo stanavano in qualunque ora del giorno e della notte, gli mettevano una frenesia addosso che riusciva a sfogare solo negli eccessi; nel sudiciume degli orgasmi raggiunti nei ventri tutti uguali delle femmine, nello sbandamento alcolico, nella violenza della caccia. L'unico passatempo positivo che aveva trovato per superare l'angoscia erano state le sue invenzioni, quelle che gli avevano fatto ottenere persino il titolo di baronetto. Ma di titoli e onori non gliene fregava niente perché i titoli e gli onori non avrebbero potuto tenere lontani quei ricordi allo stesso tempo corrosivi, affascinanti e implacabili. Sentiva i suoi desideri farsi monchi, incapaci di realizzarsi all'interno della vita che gli era stata data. No, non lo affascinava il lato dorato della società che alla fine era stato destinato ad occupare, si ricordava cosa si celava dietro l'apparenza, conosceva bene il prezzo del rituale sociale, la tagliola che stritola e tiene in trappola i suoi esponenti e che ne mutila tragicamente la natura dei rapporti.

LA DUCHESSA DI RAVENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora