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Quando lasciamo l'ufficio del colonnello, la sala accoglie una decina di uomini in divisa. Chi cammina da solo senza prestare attenzione a qualsiasi individuo intralci il suo percorso e chi, come noi, si muove in gruppo. La differenza sostanziale sta nel fatto che noi ragazze non mettiamo mai piede in questo posto mentre questi uomini, che ad occhio e croce avranno all'incirca gli stessi anni di Marxwell, forse con meno esperienza lavorativa, conoscono a memoria gli angoli più remoti del posto. La serietà regna sovrana sui loro volti, marcati e additati dal tempo e dagli eventi. Cicatrici, profonde o quasi invisibili, segnano i loro corpi ed i loro visi, rendendoci partecipi di brevi ma intensi momenti che preservano dolorosamente dentro il loro cuore, scalfito da chissà quanti strazianti e laceranti istanti. Eppure dai loro occhi impenetrabili ed enigmatici traspare tutt'altro. Benché tengano su una maschera di indifferenza e potenza, i segni del tempo cozzano su tutta l'apparenza sviluppata e perfezionata negli anni che, sostanzialmente, insistono a conferirci. In realtà, è solamente una corazza che sussegue serie di accadimenti ma che mai nessuno potrà scalfire.

Mi perdo ad osservare come riescano, in un certo senso, a non far trasparire alcuna emozione e poi giungo ad una conclusione più che fedele alla realtà dei fatti: uomini o donne che siano, che lavorano in questo ambito da moltissimo tempo, devono necessariamente fare i conti con tutto ciò. Devono indispensabilmente curare la loro facciata perché, in fondo, è proprio questa la parte più difficile dell'essere un soldato. Manifestare forza e tenacia, nonostante gli avvenimenti disastrosi della guerra.

Distolgo lo sguardo dai militari ed i miei occhi incontrano ancora una volta i due uomini seduti dietro le apposite scrivanie. Lo stesso che mi ha rivolto la parola, alza lo sguardo lanciando una breve occhiata ai ragazzi che ci stanno scortando e abbassa nuovamente lo sguardo sullo schermo del computer. Probabilmente l'uomo li conosce già.

Harley e Jessy avanzano a qualche metro dalla mia figura. Sono silenziose e forse un po' confuse dalle parole di Marxwell e di fatti non si curano minimamente della presenza dei tre ragazzi. Mentre Lily sta al mio fianco, lanciando brevi occhiate a Drew che parla silenziosamente con Trevor. Io, d'altro canto, mi fingo indifferente alle loro presenze, osservando di tanto in tanto gli angoli del luogo senza accennare nemmeno una singola sillaba.

Percorriamo il corridoio in estremo silenzio, ma non un tipo di silenzio imbarazzante, bensì inconsueto. È come se stessimo riflettendo un po' tutti quanti sulla situazione, chi più e chi meno. Il colloquio non ha chiarito per niente le nostre idee, ha solamente inserito nelle nostre teste più dubbi di quanti già ne avessimo. Il colonnello non ha completamente citato nulla sul motivo per il quale siamo state chiamate, fondamentalmente. Ha solamente sentenziato sulle nostre abilità e capacità, elogiandole e definendole superiori a quelle degli altri, ma non ha chiarito a cosa possano servire. Tutto quello che abbiamo capito è che gli addestramenti saranno diversi da quelli degli altri, che dobbiamo potenziarci fisicamente e che dobbiamo imparare tecniche basilari, non solo sugli esercizi che ci valorizzano ma anche in quelli in cui facciano un po' schifo. Ma a quale pro?

« Dickens, tu verrai con me»

Harley si volta verso il ragazzo dai capelli biondo cenere e dagli occhi blu notte e aggrotta la fronte. « Dici a me?» chiede indicandosi.

Ruota gli occhi al cielo. « C'è qualcun altro che si chiama Harley Dickens?» ribatte ironico e leggermente sprezzante.

Harley stringe le mani in due pugni, evidentemente adirata dal suo tono. « No, stavo solo chiedendo»

« Prima regola: non chiedere. Ascolta ed esegui» asserisce duramente, voltando le spalle.

La bruna prende un respiro profondo e si morde la lingua, rinunciando a rispondergli a tono.

OLTRE I LIMITI DEL CUORE |HS|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora