***CAPITOLO EXTRA***

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Adham's POV.

Quindici anni dopo.

Chiudo il rubinetto appoggiando i palmi delle mani ai lati del lavabo. I rivoli d'acqua fredda scivolano giù, bagnando il collo ed il torso nudo ma ciò non reca alcun fastidio; il caldo è asfissiante in questo periodo dell'anno, soprattutto la notte. Fisso il mio riflesso allo specchio e sospiro alla vista delle occhiaie nere che contornano i miei occhi. La stanchezza solca per intero il mio volto e non è qualche notte passata in bianco la causa, né le feste a cui prendo parte quasi ogni sera, per non parlare delle sbronze belle e buone che mi stordiscono fino a farmi dimenticare il mio nome.

C'è dell'altro, c'è sempre stato dell'altro.

La mia vita, il mio domani, il mio futuro.

Tutto questi mi spaventa, mi ha sempre spaventato.

Quando scelsi di studiare legge alla Columbia University ero sicuro del ruolo che avrei voluto ricoprire nella società. Ero sicuro della mia scelta, della decisione che avevo preso ancor prima di compiere dieci anni e che continuò a persistere fino al giorno del mio diploma. Le esperienze, però, ti segnano. Lasciano una traccia indelebile dentro di te e difficilmente si dissolve.

La mia, non è stata un'infanzia felice, non ho vissuto in un ambiente tranquillo, circondato dall'amore dei miei familiari, né in un contesto pacifico in cui poter vivere felice. Non sapevo nemmeno cos'era la felicità, l'affetto e il calore di un abbraccio. Ciò che leggevo negli occhi dei sopravvissuti era disperazione, ciò che scorgevo nelle loro espressioni vuote e apatiche era rassegnazione e quello che vedevano i miei pozzi di ingenuità e infantilità nei vicoli bui era sangue e morte. Ogni giorno, per quel che ricordo, lottavo per la mia vita pur essendo ancora un bambino. Un bambino spaventato da un mondo molto più grande di lui. Un bambino che vagava alla ricerca di un posto dove dormire, bisognoso di un luogo caldo in cui poter riposare almeno una volta e di cibo che non fosse un misero residuo nascosto sotto al pulviscolo che copriva le strade distrutte.

Sono anni che le immagini della mia vita passata torturano i miei sogni e sono anni che qualcosa, in me, sembra essere cambiato.

Il ragazzino con la voglia e la determinazione di voler cambiare il mondo, con il tempo, è scomparso, dando vita ad un'immagine simile, sì, ma al contempo differente.

Ciò che vedo, ad oggi, è il riflesso di un uomo cresciuto e maturo, un uomo con tante cicatrici dolorose cucite addosso. Un uomo che crede ancora di poter contribuire a migliore il mondo ma che intende farlo in maniera diversa, e non dietro ad una scrivania. La scelta da prendere non è stata facile ma quando si è profondamente sicuri e convinti, niente e nessuno potrà mai convincerti del contrario.

Afferro l'asciugamano bianco eliminando le tracce bagnate, emettendo un sospiro.

Abbandonare la mia quotidianità, la mia vita, i miei amici e la mia famiglia, soprattutto, non sarà facile. La consapevolezza che la mia famiglia non approvi la mia scelta mi addolora; la loro opinione è sempre stata fondamentale e importante per me.

Un giorno, però, capiranno, mi ripeto da settimane.

« Fratellone! Fratellone!»

Con un balzo degno di nota, Seth si aggrappa alle mie spalle. Allaccia le braccia al mio collo arrancando con difficoltà per circondarmi il busto, inclinando poi la testa da un lato.

Dal riflesso dello specchio, osservo la massa scura e riccia che circonda il suo volto dalle guance paffute, e dagli occhi verdi, brillanti di ingenuità e divertimento. Esteticamente è la fotocopia, in tutto e per tutto, di Trevor. Stessi occhi, stesso sorriso, stessi capelli. Arabella, ancora oggi, non riesce ad accettare che il suo unico figlio sia l'esatta copia del marito.

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