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L'ora di pranzo arriva velocemente ma per i seguenti motivi, – tra cui i continui ordini impartiti da Trevor, i nervi a fior di pelle ogni qualvolta che i colpi sfioravano il bersaglio o direttamente lo scansavano, ed i suoi rimproveri duri e taglienti –, non mi sono resa conto delle ore passate in questo poligono al chiuso. La mano, a furia di impugnare l'arma nel modo più rigido possibile, inizia a dolere ma non mi soffermo sul lieve dolore bensì sul bersaglio che ho beccato, si e no, diciotto volte su migliaia di tentativi. Forse è la presenza di Trevor a distrarmi e non intendo quel tipo di deconcentrazione. I suoi continui comandi, le sue parole taglienti, talvolta anche offensive, ed i ripetuti richiami, mi alterano solamente. Di conseguenza non riesco più a concentrarmi e, dunque, a concludere l'addestramento nel miglior modo possibile.

« Basta così. Non sei per niente concentrata e questo non va bene. Fai una pausa ma fra meno di un ora ti voglio qui, intesi?»

Il suo viso accigliato e la sua voce burbera mi riportano alla realtà e, presa da un impeto di rabbia, metto la sicura e sbatto la pistola sul bancone. Mossa sbagliata, perché parte un colpo, senza che io me ne accorga, e la pallottola colpisce il vetro scheggiandolo.

Il tutto accade velocemente ma l'urlo di dolore sembra un suono fin troppo prolungato.

Sobbalzo deglutendo, quando la mia mano sfiora la spalla destra e sento del liquido bagnarmi le dita.

« Cristo, Ara!», impreca Trevor, allungando il passo. « Sei impazzita, per caso?»

Me lo ritrovo ad una spanna dal mio viso ed il suo volto corrucciato punta direttamente sulla ferita. Un lampo di preoccupazione attraversa i suoi occhi ma, mi rifiuto di credere che lui, Trevor Clafin, possa preoccuparsi per me.

Anche se non è poi così assurdo.

La lesione brucia parecchio e mi ritrovo a stringere i denti per il dolore. « Merda, ho messo la sicura...» sibilo con voce spezzata.

Sospira pesantemente guardandomi. « Evidentemente non lo hai fatto», ribatte aspramente. « E guarda cos'è successo»

I suoi occhi perlustrano la zona soffermandosi prima sulla pistola poggiata malamente sul bancone, poi sul vetro scheggiato ed infine a terra. « Vieni con me» ordina ed il suo tono non ammette repliche.

Annuisco perché non riesco a ribattere. So per certo che la pallottola non mi abbia presa perché il dolore sarebbe stato atroce, mentre questa fitta è leggermente sopportabile. Che diamine mi è saltato in testa? Non so per quale assurdo miracolo io sia ancora viva.

Trevor avanza velocemente mentre io cerco di mantenere il suo passo, bloccando la ferita con la mano. Non so fino a che punto convenga ma, al momento, non me ne può fregar di meno.

Il moro si ferma davanti ad una porta proprio all'ingresso e abbassando la maniglia entra dentro. Non si riesce a vedere nulla a causa del buio ma quando Trevor accende l'interruttore, la luce illumina il posto ed io capisco dove effettivamente ci troviamo.

La piccola stanza è una sorta di infermeria, composta principalmente da un lettino, da un lavabo e da attrezzi e medicinali che servono per situazioni del genere.

« Perché ci sono due ambulatori?» chiedo curiosa, non muovendomi dalla mia postazione.

Abbasso gli occhi sulla pozza di sangue che impregna la mia maglia e deglutisco nuovamente. Non so in che condizioni sia la spalla ma spero nulla di grave.

Trevor si muove all'interno della stanza e afferra qualche batuffolo di cotone, una garza e del disinfettante. È abbastanza sicuro mentre compie queste azioni e capisco che non è la prima volta che entra qui dentro.

OLTRE I LIMITI DEL CUORE |HS|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora