4. A testa bassa

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A testa bassa

Lucio's POV

Erano passate tre settimane da quando io e Pietro avevamo avuto la discussione a Palazzo Specchi e io, dal quel momento, non avevo più messo piede fuori di casa. Passavo le mie giornate a suonare il piano e a comporre dei brani che puntualmente non facevo ascoltare a nessuno.

Da qualche anno a quella parte, il mio più grande sogno era diventato scrivere colonne sonore per il cinema. Quando Luca parlava di scappare insieme a Los Angeles, il mio desiderio di sentire, prima o poi, la mia musica dentro una sala, sembrava poter diventare realtà.

Peccato io e Luca non saremmo mai andati in America insieme. Non avremmo mai preso una villetta in affitto a Hollywood e non avremmo mai messo piede in uno di quei famosi bar in cui a nessuno fregava se ci saremmo tenuti per mano.

Io mi sforzavo, ma non ci credevo neanche un po'.

Al mondo, quelli come noi, non piacevano.

Sospirai, affondando la faccia contro il cuscino.

In giorni come quelli, la mancanza di Luca sembrava insopportabile.

Mi chiedevo se pensava mai a me.

Se aspettava le mie telefonate, come io aspettavo le sue cartoline, le sue lettere e i suoi biglietti di auguri.

L'ultimo lo avevo ricevuto in caserma, per il mio compleanno.

Avevo pianto di nascosto, di notte, con le coperte tirate su oltre la testa e mi ero sentito uno schifo per aver provato interesse per qualcuno che non fosse lui.

Per aver parlato a mia madre di Pietro.

Per aver sognato che lui fosse la mia seconda possibilità nella vita.

Mio padre, circa una settimana prima di quel momento, aveva provato a convincermi più e più volte, ad accompagnarlo al mercato, ma mi ero rifiutato ogni singola volta, pur sapendo che forse Pietro non frequentava quella zona della città.

Non volevo più incontrarlo per nessun motivo al mondo.

Era tutta colpa sua se mi ero di nuovo ridotto in quel modo.

Stavo pensando alle parole che mi aveva detto anche in quel momento, mentre me ne stavo buttato sul letto, nella mia stanza.

Mi dicevo di non avere bisogno di lui e poi mi insultavo, perché lui manco mi conosceva ed io passavo ore e ore a farmi paranoie su quale fosse la sua opinione su di me.

Stavo per riaddormentarmi, dopo una notte quasi insonne, quando sentii bussare alla porta della mia camera.

-Entra- dissi, sapendo fosse stato mio padre a bussare.

-Buongiorno Lucio- si affacciò, sorridendo in maniera dolce -Non scendi a fare colazione?-

-Tra poco arrivo- sussurrai, tirandomi pigramente su.

Vidi la mia immagine riflessa nello specchio.

Avevo due terribili occhiaie nere e la pelle attorno agli occhi arrossata.

Papà rimase fermo vicino alla porta per qualche istante, indeciso su se parlare o meno con me.

Lo conoscevo troppo bene per non sapere che avesse qualcosa da dirmi e che fosse spaventato dalla mia possibile reazione.

-Possiamo parlare un attimo?- mi chiese infatti, dopo aver cercato il mio sguardo.

Annuii e lui chiuse piano la porta, poi venne a sedersi sul mio letto.

Il ragazzo dai capelli grigi - COMPLETADove le storie prendono vita. Scoprilo ora