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Giorno 21...

Dean continuò a torturarmi.
Per cinque fottutissimi giorni.
Il tutto sotto lo sguardo fiero e compiaciuto di quel bastardo di Alastair.
Continuavano a tormentarmi e ridevano di gusto.
Non sapevano, però, che avevo iniziato a segnarmi tutto mentalmente: dopo le prime ore di solita tortura, i due uscivano e, successivamente, c'era il secondo turno di guardia, dove l'uomo mi portava il solito misero pasto.
Ogni turno aveva la durata di otto ore, con due minuti per ogni cambio.
Solo in quel piano avevo contato dieci uomini e, molto probabilmente, altri dieci a quello inferiore.
Essendo che tutte le guardie erano demoni, erano poco armate e non avevano alcuna protezione. Ma ciò non significava che fossero più vulnerabili.
Il piano era più o meno stato stabilito e quel giorno sarei scappata, a qualunque costo.
C'erano però molti problemi: il piano in cui stavo non aveva finestre e, se ce le aveva, erano state tutte sbarrate; i demoni non avevano nessuna "divisa", quindi non avrei potuto spacciarmi per una di loro;  gli uomini non implicati nel turno di guardia erano disposti nei corridoi, perciò, se anche fossi riuscita nella prima parte del piano, rimanevano gli altri demoni; non ero per niente al massimo delle mie forze, sia per lo scarso cibo sia per le costanti torture, ma questo problema speravo che si sarebbe risolto con l'adrenalina; non avevo nessuna arma per difendermi e i demoni non sarebbero andati giù molto facilmente, quindi avrei dovuto prendere almeno una lama; infine, avrei dovuto trovare un modo per sbarazzarmi delle manette, sostituite alle corde, ma le chiave le avevano soltanto i due bastardi.

La giornata iniziò, come sempre, con una bella dose di dolore e sofferenza.
I due bastardi uscirono dalla stanza e le guardie si scambiarono.
Chiusi gli occhi, lasciando la testa a penzoloni.
L'uomo entrò nella stanza con un piatto e un bicchiere tra le mani.
Lo poggiò per terra, vicino ai miei piedi, aspettando che lo raccogliessi.
<Ehi, svegliati! Il pranzo> mi richiamò.
Mi diede un leggero colpetto, ma non risposi.
Trattenni il respiro.
<Ehi, Anderson!> provò ancora scuotendomi per la spalla, ma ancora niente.
Avvicinò l'orecchio al mio viso, per cercare di capire se respirassi ancora.
Subito aprii gli occhi e, con uno scatto, gli morsi l'orecchio con l'orecchino, staccandoglielo.
L'uomo si ritirò all'istante, tenendosi una mano sul pezzo di carne mancante, mentre il sangue prendeva a colargli tra le mani.
Mi tirò un pugno che mi fece girare la testa.
<Ci hai provato, puttana, peccato che non mi fai niente> esclamò lui calciando il piatto più lontano, per poi tornare al suo posto di guardia.
Sputai di lato il pezzo insanguinato di carne. 
Presi l'orecchino tra i denti, per poi passarmelo alla mano. 
Dopo vari minuti riuscii a sbloccare le manette, prendendo a massaggiarmi i polsi terribilmente arrossati.
Liberai anche le caviglie e raccolsi quel piattino riempito con una disgustosa zuppa di pomodoro.
Prendendo la zuppa con le mani, disegnai una trappola del Diavolo appena davanti l'entrata.
Poi avvisai a gran voce di aver finito di mangiare e, mentre lui armeggiava con le chiavi per aprire la porta, mi nascosi cautamente dietro di essa.
L'uomo entrò nella trappola ed io gli bloccai la bocca da dietro, stringendogli un braccio attorno alla gola. 
Con un gesto, gli spezzai velocemente l'osso del collo e lui smise di agitarsi, liberando quel fatidico fumo nero che, essendo intrappolato, ripiombò nelle profondità dell'Inferno.
Sfilai all'uomo la lama che aveva nel retro dei pantaloni e strappai un pezzo della sua maglia, fasciandomi meglio la gamba ancora ferita.
Bene, la prima parte del piano era andata.

Presi un respiro profondo e corsi fuori dalla stanza, cercando di fare fuori più bastardi possibili.
Scesi in fretta e furia le scale, inseguita da un bel po' di demoni, a cui si aggiunsero gli altri del piano inferiore.
Riuscii ad uscire dalla porta, seguita da tutto il gruppo, con a capo Dean.
Corsi a perdifiato, cercando di sfuggirgli.
L'adrenalina non mi stava abbandonando, per fortuna.
Il dolore alla gamba era divenuto solo un fastidio, ma sapevo che, non appena mi sarei fermata, sarebbe riapparso.
Continuai a correre nonostante i polmoni a fuoco e le fitte alla milza.
L'edificio si trovava in mezzo ad un bosco, perciò incominciai a fare uno slalom tra gli alberi, per confondere le mie tracce.
Guardai un attimo alle mie spalle, non trovandoci nessuno. 
Rallentai il passo per riprendere fiato, cercando comunque di non fare troppo rumore. 
Tutto intorno taceva, rendendo quell'atmosfera notturna inquietante e tranquilla allo stesso tempo. 
Non mi permisi di fare un sospiro di sollievo, visto che nei film di solito a quel punto sbucava un nemico dal nulla. 
La coscia riprese a pulsare ad ogni passo ed iniziai a zoppicare. 
L'adrenalina mi stava abbandonando e non ero ancora arrivata alla fine del bosco, cosa molto negativa.

<Dove credi di andare, raggio di sole?!> esclamò una voce alle mie spalle, facendomi girare.
<Non ti azzardare a chiamarmi in quel modo! Non ne sei degno> ribattei sprezzante, mettendomi in posizione di difesa.
<Vuoi combattere? Non sei nelle condizioni. Guardati> rispose lui indicandomi <Sei ferita, barcolli e probabilmente sverrai tra poco>.
<Cosa c'è, adesso ti fai degli scrupoli?> chiesi tenendo la guardia alta.
<Sto dicendo che sei fin troppo facile da battere->.
<Lo vedremo>.
Attaccai senza pensarci due volte. 
Lui schivò facilmente la lama, per poi spingermi da dietro.
<Vuoi proprio metterti in imbarazzo, eh?! E va bene> commentò lui, per poi partire con una serie di ganci e montanti che difficilmente parai.
Un pugno mi colpì dritta al naso, facendomelo sanguinare.
Riuscii a rifilargli un gancio sotto la mascella, facendogli battere i denti, per poi colpirlo alla spalla col coltello.
Lui indietreggiò stringendo i denti.
<Ti sembro tanto facile da battere adesso?> commentai sorridendo beffarda.
Lui ripartì subito all'attacco con i suoi potenti ganci destri e sinistri.
Per un attimo mi sembrò di essere nel match di Rocky Balboa contro Ivan Drago e già sentivo Gonna Fly Now in testa.
Continuammo ad attaccarci a vicenda, fino a quando lui non mi colpì con una serie letale di pugni, che mi fecero andare a terra.
Dean mi assalì, stringendomi il collo con le sue mani.
<Hai perso, Claire> iniziò.
Con le mani cercai qualcosa al mio fianco che mi potesse aiutare.
<Ti riporterò di nuovo in quella cella e stavolta sarà per sempre, te lo prometto>.
Agguantai una pietra e, con tutta la forza che mi rimaneva, lo colpii sulla tempia.
La sua presa sulla mia gola diminuì e lui cadde di faccia a terra, svenuto.
<Ho vinto io, Ivan Drago di merda> commentai affannata, per poi dargli un'altra botta in testa per sicurezza.

Ripresi, più distrutta di prima, a camminare tra gli alberi, con la speranza di vedere una strada. 
La fasciatura alla gamba era zuppa e il sangue cominciò a colarmi lungo il polpaccio.
Con una mano mi mantenevo il braccio fratturato.
Un capogiro mi investì e gli alberi presero a girare vorticosamente, costringendomi a sedermi un attimo. 
La schiena bruciava per i colpi di frusta.
Chiusi gli occhi, appoggiando la testa al tronco.
La realtà mi piombò davanti come mai prima.
Tre settimane...erano passate tre fottutissime settimane di sola tortura. 
Chris era morto. Per davvero, non in un incubo.
Tutto quello che era successo, era successo per davvero.
Non riuscii a fermare le lacrime che presero a scorrermi impetuose. 
Le mie mani tremavano senza sosta.
<Sono stanca...sono così stanca> sussurrai alzando lo sguardo sulla luna <Soprattutto di fare questa vita così sacrificata. Vorrei tanto avere una casa, una famiglia, un lavoro per cui non debba rischiare la vita ogni minuto>.
Mi presi la testa fra le mani.
<Ma non potrò avere niente di tutto questo...mio fratello è morto, Dean mi si è rivoltato contro. Non ce la faccio più> sussurrai <Non ce la faccio più!> ripetei più forte.
Abbassai lo sguardo sconfortata, per poi tirarmi su e riprendere a camminare. 
Il silenzio della notte fu interrotto dal rumore dello sfrecciare di alcune auto. 
Aumentai il passo e presto mi ritrovai sul bordo di una strada.
Iniziai a fare l'autostop e dopo un po' una macchina si fermò.
<Le serve aiuto, signorina?- Mio Dio ma lei sta sanguinando! Deve andare subito all'ospedale!> esclamò la ragazza al volante.
<Mi sa dire dove siamo?> le chiesi e lei mi disse il nome dell'autostrada. 
La bella notizia era che i demoni non mi avevano portata in un altro Stato. 
La cattiva notizia era che casa di Bobby era dannatamente lontana.
<Senta, non è che mi potrebbe dare un passaggio?> le chiesi pregandola con lo sguardo.
<La porto all'ospedale->.
<No no, niente ospedale> la interruppi.
<Ma la sua gamba->.
<Non si preoccupi, sono stata peggio> la interruppi ancora <Un mio amico abita infondo alla strada, le dispiacerebbe accompagnarmi?>.
Lei annuì ed io salii in macchina, abbandonando la testa sul sedile e, nel frattempo che cercavo di rimanere sveglia, arrivammo alla fine della strada. 
Scesi dalla macchina, ringraziandola profondamente e ripresi a camminare fino a casa di Bobby. 
Appoggiandomi allo stipite bussai, ma nessuno aprì.
Riprovai ancora e stavolta la porta si aprì, rivelando la figura assonnata e infastidita del vecchio.
<Chi diavolo è a quest'ora-> incominciò, per poi fermarsi appena mi vide.
<Ciao Bobby> lo salutai stanca con un fil di voce.
Lui spalancò gli occhi.
<Claire>.
Mi scostai dallo stipite e, completamente distrutta e senza forze, svenni.
Il vecchio mi prese prima che toccai terra, chiamandomi ripetutamente, poi il buio.

-Heroes don't wear capes 2-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora