Prologo

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Alissa

Fare la mamma è dannatamente difficile.

È questo che penso mentre stringo mia figlia al petto, nel cuore della notte, dopo che si è svegliata in preda alle lacrime.

Non è la prima volta che succede, anzi, ormai tutte le notti è la stessa storia, eppure ancora non ho trovato un modo per tenere alla larga gli incubi che la tormentano da sempre.

Una brava mamma dovrebbe essere forte, proteggere la propria bambina, farla sorridere e invece non ci riesco.

Non servono né le mie carezze, né le mie parole di conforto.

Aurora continua a piangere e respirare in modo sempre più pericolosamente affannato.

Una brava mamma non dovrebbe farsi vedere fragile dalla propria bambina, non dovrebbe turbarla ancora più di quanto non lo sia, ma è evidente ormai che io sia tutto tranne che una brava mamma e quindi cedo.

Piango insieme a lei.

Piango perché sono esausta e domani mattina devo svegliarmi presto per andare a lavoro. Piango perché sono distrutta al pensiero che Aurora, a poco più di quattro anni, debba soffrire in questo modo. Piango perché sono incazzata, perché quando mia figlia è nata mi ero ripromessa che non avrei mai lasciato che soffrisse tanto quanto ho fatto io, eppure non sono riuscita a mantenere nemmeno questa promessa, perché lei soffre esattamente come me e a causa della stessa persona. L'unica di cui avremmo bisogno in questo letto troppo grande, ma che non c'è mai stata per noi.

Suo padre.

Gli incubi di Aurora sono iniziati non appena ha cominciato ad andare all'asilo, quando ha realizzato che le famiglie "normali" sono costituite da due genitori e uno o più figli.

La nostra non è una famiglia "normale", nella nostra famiglia atipica ci siamo soltanto io e lei, se non contiamo i miei genitori e i miei amici, che mi danno una mano per gestire mia figlia e il lavoro e per cui sono infinitamente grata. Aurora ha presto iniziato a notare queste piccole differenze tra lei e i suoi compagni e a farmi domande sul suo papà. C'è stato per fino un periodo in cui ha interrogato ogni mio amico per capire se tra loro ci fosse suo padre.

Non c'era.

Non per questo, però, si è arresa. Mi fa migliaia di domande su di lui ogni giorno ed io cerco di restituirle un'immagine positiva, di raccontarle la nostra storia — perlomeno la parte più bella — e farglielo conoscere tramite i ricordi, nonostante mi faccia un male cane ripercorrere quella parte della mia vita. Lo faccio comunque, per lei, per darle modo di non odiarlo e — una volta cresciuta — di poterlo cercare, se è questo che vuole.

Tutto ciò, però, sta iniziando a non essere abbastanza.

Aurora non ha bisogno di racconti su suo padre, ha bisogno di lui e soffre così tanto la sua assenza da sognare regolarmente il suo abbandono. Perché più cresce e più le diventa chiaro che è questo che è successo.

Il suo papà l'ha abbandonata.

Questa è una di quelle notti in cui si sveglia in panico, disperata, calciando le coperte e tirando pugni a vuoto a causa sua ed io la stringo a me, incassandoli e piangendo silenziosamente insieme a lei, mentre maledico l'uomo che ci ha causato tutta questa sofferenza.

"Pe-Perché non mi vuole? Non... Non sono abbastanza bella o brava o gentile p-per lui?" la vocina tremolante di Aurora squarcia il silenzio allo stesso modo in cui lo fa col mio cuore. All'improvviso, senza pietà, facendomi una domanda a cui non so e non voglio rispondere.

"Tu sei perfetta, scricciolo" rispondo accarezzandole dolcemente i lunghi capelli castani, sperando di riuscire a tranquillizzarla.

Vorrei tanto essere abbastanza per lei, che le mie parole fossero sufficienti per convincerla, ma so che non è così. Non sarà mai così, perché lei è già convinta del contrario. Ed è tutta colpa di suo padre, che ha preferito la sua stramaledetta carriera sportiva a noi.

"Non per lui, altrimenti sarebbe qui..." ribatte puntando i suoi grandi occhi lucidi sui miei ed ogni volta che lo fa, per me, è come ricevere un pugno in pieno stomaco. Perché lei non lo sa, ma per conoscere un pezzetto di suo padre le basterebbe guardarsi allo specchio. È lì che troverà i suoi stessi magnetici occhi ambrati dal taglio orientaleggiante, così come il colore dei suoi capelli e il sorriso dolce.

Si assomigliano così tanto che a volte mi infastidisce.

Insomma, sono o non sono io ad averla portata in grembo per nove mesi e ad averla cresciuta tutta da sola? Il minimo che mi aspettavo era che assomigliasse almeno un po' a me. E invece è la stramaledetta copia dell'uomo che non si è mai nemmeno degnato di scomodarsi dal suo nuovo mondo fatto di party e modelle una più bella dell'altra per venire a conoscerla.

Quando si dice l'ironia della sorte...

"Io e te possiamo cavarcela anche senza di lui, no?" cerco di mascherare le mie lacrime e di sorriderle, ma lei è molto più matura di quanto dovrebbe essere alla sua età e se ne accorge.

"Perché piangi? Sei arrabbiata con me? È colpa mia se papà non torna a casa?" chiede mentre un lampo di preoccupazione le attraversa il visino stropicciato da tutte le lacrime versate.

"Ma che dici, Rory? Certo che no! Non potrei mai essere arrabbiata con te" le sorrido mettendole una ciocca di capelli dietro l'orecchio, così lei annuisce sospirando arresa e sistemandosi meglio contro il mio petto.

"Mi racconti qualcos'altro di lui mentre aspettiamo che torni?"

Tra tutti, come madre, illuderla è stato l'errore più grande che potessi fare con lei.

La prima volta che si è svegliata da un incubo le ho promesso di raccontarle qualcosa su suo padre finché non sarebbe tornato a casa, volendo soltanto che smettesse di piangere e si riaddormentasse prima di realizzare che non sarebbe tornato, né quella notte né mai.

Peccato, però, che lei ci creda ancora ed ogni volta che ha un incubo mi faccia sempre la stessa domanda, con la speranza che sia la volta buona di vederlo apparire accanto a noi nel letto ed io non faccio nulla per farle credere diversamente.

Perché fare la mamma è dannatamente difficile, soprattutto se sei da sola ad affrontare i tuoi demoni e quelli di tua figlia, entrambi con lo stesso volto.

Quello di un padre e un compagno che riesce a farci soffrire anche da centinaia di chilometri di distanza.

"Okay... Dove eravamo rimaste?" sospiro usando l'unico modo che ho di farla calmare e riaddormentare, nella speranza di potermi riposare ancora un paio d'ore prima di andare a lavoro.

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n/a: benvenute nella mia nuova storia! Che ne dite di questo inizio? Vi ha incuriosite? Fatemelo sapere con qualche stellina o commento, se vi va! 🫶🏻 

Al prossimo capitolo,

-S 🌹

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