3) SAARÀN IL NAAXIA

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Fermo sopra a un basso poggio arrotondato, il Naaxia osservava l'enorme massa dell'Orda in movimento.

Il carro del Gran Khan puntava diritto verso di lui e così tutto il suo seguito.

<Arrivano!> si disse soddisfatto, e la pelle spessa come il cuoio del volto si increspò impercettibilmente, accennando un sorriso.

Si scostò i capelli dalla faccia rugosa e inespressiva.

Erano ancora spessi e duri, neri come una notte senza luna, tuttavia alcune ciocche erano già bianche.

La pelle del volto, temprata dal vento e dal freddo, era scura come l'erba secca della Steppa in estate.

Una barba rada e incolta copriva a malapena le guance lisce.

Sul volto non portava segni di scarificazioni, perché il Naaxia non ne aveva il diritto.

Solo i prodi Un potevano permettersi di portarle e lui, Saaràn, ottavo Naaxia dopo Sangun il Traditore, non lo era.

I suoi occhi grigi si illuminarono di gioia a vederli arrivare.

L'ampia distesa dei carri era ancora lontana, eppure lo sguardo faticava a contenerla tutta, tanto l'Urdu si allargava nella pianura.

Era da prima dell'alba che aspettava questo momento e ora l'attesa era quasi terminata.

Ebbe un brivido, si strinse la casacca attorno al collo e sistemò meglio la sciarpa di seta gialla sulla giubba.

Il vento quel mattino era freddo, teso, arrivava da Nord, dai Monti d'Oro, ma il cielo era terso e limpido: per quel giorno non avrebbe piovuto e l'Orda non avrebbe avuto problemi a percorrere il tragitto che lui le aveva tracciato il giorno prima.

Aveva trovato una rotta facile che l'avrebbe condotta al campo serale ed era soddisfatto: i carri avrebbero dovuto attraversare solo un fiume quasi in secca e poche alture che non aveva potuto evitare.

Niente di difficile, anche per quei mezzi pesanti e impossibili da manovrare.

Con una carezza calmò il Tarpan che montava, tormentato com'era da mosche e tafani che in quella stagione brulicavano.

Il pezzato fremeva, voleva andarsene, ma per il cavallo e per il suo cavaliere non era ancora arrivato il momento di scendere la collina e tornare al campo.

Saaràn sarebbe rimasto fermo su quel poggio fino a quando il Khan non lo avesse visto e poi sarebbe scomparso dalla vista dell'Orda fino al giorno dopo.

Nessuno l'avrebbe cercato e lui avrebbe potuto andare a trovare il percorso per il giorno dopo.

Si voltò, guardò verso un punto lontano a Ovest e annuì.

La sua posizione era giusta, i segnali che aveva lasciato nella Steppa erano facili da trovare e sbagliare sarebbe stato impossibile.

Per quel giorno il carro del Khan avrebbe saputo quale via seguire e nessuno avrebbe più avuto bisogno di lui.

Il cavallino che montava, all'improvviso scartò.

Un tafano indiscreto gli voleva succhiare il sangue.

Il Tarpan del Naaxia era vecchio, dal manto pezzato di tre colori, bianco, grigio, marrone, ma aveva ancora abbastanza energie da reagire quando un moscone lo mordeva.

Il movimento improvviso colse di sorpresa l'uomo: la coda del cavallo fustigò l'aria come una frusta e colpì precisa il moscone sul fianco spelacchiato.

Monglik era il suo nome, Pelo Rado, ed era proprio così, spelacchiato fin dalla nascita.

Era basso, con la schiena arcuata e pochi ciuffi di peli arruffati al posto della criniera.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora