10) IL DENTE DI CINGHIALE

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Vedendo Omnod così prostrato, Saaràn sospirò di sollievo.

Comprendeva lo stato d'animo del giovane Un, però l'aveva fermato appena in tempo ed era quello che più contava.

Per quanto sapesse di aver esagerato ad urlargli contro, il ragazzo era ancora vivo e questo era ciò che gli importava oltre ad ogni cosa.

Tuttavia quel gesto, quel toccarsi l'amuleto appartenuto all'animale a cui ogni componente della sua Tribù affidava la propria morte, così istintivo e spontaneo da essergli diventato automatico, gli aveva fatto comprendere cosa c'era di diverso tra loro e quel ragazzo.

Fu un attimo, un'illuminazione. Ora aveva capito.

"Digli... digli..." farfugliò allora a Uleg indicando Tomor senza più badare che altri sentissero quello che diceva "digli che desidero parlare con lui. Quel ragazzo non è nemico dei lupi e glielo posso dimostrare. Diglielo, su. Presto!".

Non del tutto convinto Uleg fece come gli era stato ordinato.

Riordinò le idee prima di esporle nella lingua di quella gente, poi le disse di getto.

Il capo dei Togril rimase immobile nell'ascoltare quello che il Taiciuto aveva da dirgli. Pensò a lungo prima di rispondergli.

Pareva una statua di metallo luccicante al sole.

Dopo un tempo che l'ansia e la tensione resero infinito, Tomor Biye si mosse e si rivolse alla donna che gli stava sulla destra.

Le mormorò qualche parola che dal basso non compresero e quella annuì.

Sporgendosi oltre il ciglio del precipizio, l'enorme guerriero disse una sola parola che Saaràn udì forte e chiara: "Irekh!". (Arrivo!)

La sua voce rimbombò a lungo nella valletta, poi il capo dei Togril si voltò e scomparve dalla loro vista, lasciando alle donne e ai lupi il compito di tenere i prigionieri sotto tiro.

Nel vedere accettata la sua richiesta e insaccandosi quasi dal sollievo, Uleg mormorò al suo padrone:

"Ha detto che arriva".

Saaràn annuì e fece cenno a Omnod di restare fermo.

Il ragazzo lo osservava sottecchi, incapace di reggerne lo sguardo.

Era umiliato, offeso, pericoloso come ogni Un che temesse di aver perso l'onore davanti ai suoi, ma al momento almeno non pareva intenzionato a combinare altri guai.

Fece un vago cenno d'assenso verso il Naaxia, poi riprese a guardarsi le mani che tormentava nervosamente.

Saaràn provò un poco di pena per lui, però doveva pensare al bene di tutti e non soltanto all'amor proprio di quel soldato.

Abbassò lentamente le mani, tenendole sempre bene in vista ai quattro uomini che li tenevano d'occhio.

Sperava di averci visto giusto, perché altrimenti sarebbero stati grossi guai per tutti quanti.

Al suo fianco il Taiciuto prese a giocare nervosamente con la piccola sfera di metallo appesa al lungo cappello che gli scendeva sulla spalla e lui gli fece cenno di non farlo.

Non voleva che i Togril sospettassero che dentro a quel cappello all'apparenza inoffensivo, si celasse in realtà un'arma micidiale.

Comprendendolo, il Taiciuto allontanò le mani e le lasciò scendere lungo i fianchi.

Nel silenzio più assoluto il tempo scorse lentamente.

Helun e i bambini lo fissavano come se lo vedessero per la prima volta in vita loro e da come tenevano spalancati gli occhi, capì che erano impauriti.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora