42) IL DENTE D'ORO

12 6 6
                                    


Muu-Gol, reso completamente folle dalla febbre, quando vide le truppe dei Clan fuggiti dall'Urdu ferme davanti a lui a sbarrargli la strada, non comprese quello che stava accadendo.

Credendo che quegli uomini volessero sottomettersi a Saaràn prima di lui, si mise a gemere.

"No! No! È mio, lui è solo mio!" mormorò disperato.

Nella mente sconvolta dal terrore di dover morire in modo atroce da un momento all'altro, egli era convinto che per ottenere la salvezza promesse, doveva raggiungere per primo il Naaxia e portargli di persona quello che costui più desiderava: il Pugnale Azzurro del Khan.

Le parole di salvezza che aveva pronunciato dal Carro Reale, ancora gli rimbombavano nella mente come una canzone allettante.

Egli sul momento non gli credette, ma ora che vedeva sfuggirgli la vita, non desiderava altro che arrivargli ai piedi e domandargli perdono.

Incitò il piccolo cavallo sudato ad accelerare, ma quello era troppo stanco per potergli dare quello che voleva.

Era dall'alba che il Tarpan risaliva il greto del torrente senza un attimo di sosta e ora era esausto ancor più del cavaliere.

Roso dalla collera per il timore di vedersi portare via da quegli uomini la meta tanto ambita, fiaccato dal dolore fisico e dalla paura, Muu-Gol delirava.

Temeva di morire prima di riuscire ad arrivare da chi avrebbe potuto salvarlo e ogni parte del suo corpo gli si ribellava, quasi che complottasse per rallentarlo e ricordargli che la fine si avvicinava.

Le dita delle mani si erano fatte nere, ormai insensibili al caldo e al dolore, le piegava a fatica; la gola gli bruciava come se andasse a fuoco e un'arsura tremenda ai polmoni lo tormentava da quando era partito per risalire la valle.

La gamba infetta, poi, pulsava talmente forte che per non cedere al dolore era obbligato a cavalcare tenendola tesa, a penzoloni fuori della staffa.

Inoltre, da qualche tempo a quella parte, dal naso aveva preso a scendergli un filo di sangue che non riusciva a tamponare in nessun modo e questo, sopra ogni altra cosa, lo terrorizzava.

Benché si passasse continuamente sotto le narici la manica della casacca per asciugarlo, quello riprendeva subito a cadere e a colargli in bocca, sul mento, lordandogli poi il petto e le gambe, scendendo goccia dopo goccia.

Non che facesse male, ma era la propria forza vitale a scorrere via e perderla senza che potesse fare nulla per arrestarla, era come vedere il sole levarsi in cielo al mattino e non potere far nulla perché scendesse la notte.

Muu-Gol indossava abiti troppo pesanti per la temperatura che c'era nella valle e soffriva il caldo.

Sudava copiosamente e avrebbe dato qualunque cosa per poter bere un sorso di Khumish, nondimeno la fiasca era vuota da tempo.

Abituato al fresco vento della Steppa, quell'ambiente così estraneo per un Un lo opprimeva e faticava a respirare l'aria tiepida e asciutta delle montagne, ma poco importava.

Oramai era quasi arrivato. Saaràn! L'aveva visto, ne era sicuro.

Saaràn era laggiù e aspettava che lui gli portasse il Pugnale del Khan.

Parandosi come poteva gli occhi dal sole, Muu-Gol aveva scorto il Naaxia spuntare dalla montagna.

Era sul dorso di un cavallo enorme e brillava come fosse fatto di raggi di sole.

Non poteva capire che fossero le placche di metallo che rivestivano il possente animale da guerra a luccicare.

Nella follia che gli rodeva il cervello, da distante a Muu-Gol pareva che Saaràn stesso fosse diventato luminoso come il sole.

OCCHIO LIMPIDODove le storie prendono vita. Scoprilo ora